L’Accordo tra Russia e Arabia Saudita fa volare il Prezzo del Petrolio

I prezzi del petrolio hanno subito un repentino aumento questa settimana sui mercati globali, a seguito dell’annuncio di Arabia Saudita e Russia riguardo al prolungamento dei tagli volontari alla produzione di petrolio.

Questi due paesi sono tra i principali esportatori mondiali di petrolio e la loro decisione di ridurre l’output di un milione di barili al giorno da parte saudita, in vigore da luglio e già prorogata fino a settembre, è stata ulteriormente estesa fino alla fine dell’anno. Nel frattempo, la Russia ha confermato il taglio di 300.000 barili al giorno, iniziato lo scorso giugno, fino al 31 dicembre.

In un mercato del petrolio già caratterizzato da una stretta disponibilità di risorse, questi tagli hanno immediatamente generato volatilità nei prezzi. Martedì scorso, i futures sul petrolio Brent hanno superato i 90 dollari al barile, un livello che si mantiene tuttora. L’Arabia Saudita produrrà ora 9 milioni di barili al giorno, il 25% in meno della sua capacità massima di 12 milioni di barili al giorno.

Questa mossa da parte dei due principali attori dell’OPEC+ (il cartello dei produttori mondiali di petrolio) ha implicazioni sia geopolitiche che economiche.

Dal punto di vista geopolitico, l’accordo rafforza ulteriormente i legami tra Arabia Saudita e Russia, creando un’alleanza esplicita che sfida gli Stati Uniti. La Casa Bianca ha criticato apertamente il governo saudita, guidato principalmente dal principe ereditario Mohammed bin Salman, per la sua collaborazione con la Russia negli ultimi mesi. Questo asse russo-arabo è visto come un’alternativa al consenso occidentale, enfatizzando il ruolo dei BRICS come possibile alternativa al mondo occidentale. L’alto prezzo della benzina potrebbe mettere in difficoltà l’amministrazione democratica di Joe Biden in vista delle elezioni, poiché i prezzi elevati della benzina e l’inflazione risultante potrebbero diventare argomenti facili per l’opposizione repubblicana.

Dal punto di vista economico, l’aumento dei prezzi del petrolio comporta il rischio di inflazione, particolarmente accentuato in Europa a causa della debolezza dell’euro nei confronti del dollaro. Attualmente, un barile di petrolio costa 84,5 euro, il massimo da novembre 2022. Prezzi così elevati per il petrolio, una materia prima di base, significano un prolungato rischio inflazionistico che potrebbe compromettere gli sforzi delle banche centrali per contenere l’inflazione. Inoltre, si profilerebbe uno scenario di stagflazione, con alti tassi di interesse, prezzi elevati e crescita economica stagnante o negativa.

L’influenza delle decisioni prese da Arabia Saudita e Russia sulla campagna elettorale americana è evidente, poiché il principe ereditario bin Salman continua a impegnarsi in progetti costosi per modernizzare il suo regime, tra cui un campionato di calcio di alto livello e città tecnologiche nel deserto. Questi progetti richiedono un prezzo del petrolio stabilmente superiore ai 85 dollari al barile. Per l’amministrazione statunitense in uscita, spiegare che le spese del principe saudita devono essere affrontate dagli americani sarà una sfida significativa.

Va notato che anche il settore della raffinazione contribuisce alla volatilità dei prezzi. Mentre il prezzo del greggio è aumentato del 14% negli ultimi tempi, i prezzi all’ingrosso del diesel in Europa sono saliti di oltre il 25%. Questo è dovuto sia alla perdita di capacità di raffinazione in Europa, che è diminuita del 5% negli ultimi due anni, sia agli alti tassi di interesse che scoraggiano gli operatori dal mantenere grandi scorte di combustibile, data la costosa finanziarizzazione di tali acquisti. La scarsa disponibilità di scorte indica una difficoltà nell’offerta, contribuendo così a un mercato altamente volatile e tendenzialmente rialzista.

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