Al via la fattura elettronica. Un obbligo con molti rischi

Da ieri è scattato l’obbligo di emettere fattura elettronica, un adempimento che interesserà 2,8 milioni di imprese, il 56% delle partite Iva italiane (sono esclusi medici, farmacisti, società sportive dilettantistiche e chi sceglierà di aderire al regime dei minimi o forfettario) ne sono letteralmente “investiti” gli impianti di distribuzione carburanti.

Oltre alle spese in capo alle aziende grandi o piccole che siano, che devono adottare i sistemi di emissione e trasmissione della fattura in maniera digitale, il tutto comporta anche un aggravio di spesa al piccolo imprenditore o artigiano che sia dotato di soluzioni informatiche che non era scontato fossero presenti prima dell’avvento della fattura elettronica. Il tutto a corredo di ulteriori spese di gestione calcolate in fase di tenuta contabile.

Si stima, inoltre, che già nel 2019 saranno trasmessi in digitale qualcosa come 3 miliardi di documenti. Qualcuno si chiede se le infrastrutture di Sogei saranno in grado di reggere l’urto o, come è già successo altre volte, i contribuenti dovranno sopportare intasamenti, rallentamenti, o addirittura paurosi crash informatici.

Ma il problema vero è un altro: tutti questi dati sono un vero e proprio pozzo di petrolio, che fa gola a numerosi soggetti. Il Garante della privacy è intervenuto più volte per rilevare la mancata protezione dei dati. Ma finora si è risolto ben poco. Si è inibita la trasmissione delle fatture contenente dati sanitari (peraltro, una duplicazione) e si sono desanzionati i primi nove mesi, trasformandoli di fatto un periodo di prova tecnica di trasmissione.

Ma rimangono sul tappeto i problemi maggiori. Primo fra tutti il canale di trasmissione delle fatture (ftp), considerato da tutti non sicuro. Le Entrate hanno preso tempo fino a maggio per trasformarlo in un sftp.

Inoltre, come rilevato da qualche organo di informazione, il contribuente se vuole evitare che i dati presenti in fattura vengano utilizzati dal fisco per controlli automatizzati, deve espressamente rinunciare al servizio di consultazione e memorizzazione offerto, gratuitamente, dall’Agenzia delle entrate (una vera e propria trappola, che consentirebbe al fisco di effettuare veri e propri controlli analitici a tavolino).

Infine c’è il problema degli intermediari, già rilevato dal Garante, «alcuni dei quali operano anche nei confronti di una moltitudine di imprese, accentrando enormi masse di dati personali con un aumento dei rischi, non solo per la sicurezza delle informazioni, ma anche relativi a ulteriori usi impropri, grazie a possibili collegamenti e raffronti tra fatture di migliaia di operatori economici». La corsa al petrolio è cominciata. Fermarla, ora, non sarà facile.

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