
Gianni Nettis (vicepresidente Faib) “E’ meglio fare l’operaio che gestire una pompa di benzina”
Da un inchiesta curata da CronacaQui che fotografa la crisi del commercio su dati della Camera di Commercio tra il 2009 e il 2019.
Quasi 8mila serrande abbassate negli ultimi dieci anni a Torino. Un esercito silenzioso di macellai, panettieri, benzinai e ristoratori combatte ogni giorno la sua battaglia per restare a galla e tantissimi, in questi anni, sono caduti sul campo. A fotografare la sofferenza dei negozi della città è la Camera di Commercio , mettendo in luce una parabola discendente che dal 2009 arriva fino ai giorni nostri. Il primo segnale della crisi che avanza si osserva nel mondo delle edicole, come CronacaQui ha denunciato sul suo numero di ieri: negli ultimi dieci anni in 122 hanno chiuso bottega, il -30% del totale.
Non se la passano meglio le stazioni di servizio, ridotte di 85 unità (-33,7%). Solo lo scorso anno, hanno chiuso quattro distributori di carburante, facendo scendere il totale a 167. Arrancano anche molti negozi di abbigliamento. Basti pensare che fino a dieci anni fa a Torino erano in 1.975, mentre oggi i negozi dove fare shopping si sono ridotti a 1.539. Vale a dire che hanno abbassato la saracinesca per l’ultima volta in 36 (il 22,1%). di cui 36 solo lo scorso anno, tra i banchi dei mercati poi la situazione è notoriamente drammatica, con 612 ambulanti costretti a rinunciare al proprio banco (180 nel 2019). Ormai se ne contano solo più 3.528 in tutta la città.
Guardando all’alimentare, la situazione più critica è quella delle macellerie, con 65 chiusure (-12,9%), di cui sei solo nell’ultimo anno. Non va meglio in provincia, dove hanno chiuso bottega in oltre 200, il 18% del totale. Seguono panetterie e pasticcerie, con 58 “cessata attività” a Torino (-19,9%). Vanno invece meglio le pescherie: attualmente ce ne sono 26 aperte in città.
A preoccupare sono anche bar e i ristoranti, comparto commerciale che ha sempre fatto da traino in questi anni di crisi, ma che oggi inizia ad accusare il colpo. Dal 2009, i locali sono aumentati di circa un migliaio di unità (passando da 6.773 a 7.800), con un incremento del 15,2%. Comparando invece i dati degli ultimi due anni si iniziano a vedere le prime chiusure: tre locali hanno gettato la spugna nel 2019. Idem per i negozi di frutta e verdura: in dieci anni hanno aperto in 82, facendo crescere del +82.8% il numero di punti vendita in città. Dato che viene confermato anche allargando lo sguardo alla provincia, dove hanno aperto 147 nuove attività, il 56,5%. Lo scorso anno però è iniziata l’inversione di tendenza con le prime 17 chiusure (1’8,6%). Nonostante il numero ridotto, fino a qualche tempo fa crescevano ancora anche le librerie (+5,8%). Nel 2019 invece hanno rinunciato in tre e quest’anno è stato inaugurato con la notizia della chiusura della storica Paravia di piazza Arbarello.
Una nota positiva viene dalle tabaccherie. In mezzo a tante chiusure, le rivendite di tabacchi sono passati da 421 a 470, con un incremento dell’11,6% nell’ultimo decennio. Trend confermato lo scorso anno, con due nuove aperture.
Gianni Nettis non ha dubbi, “Avere un distributore? Meglio fare l’operaio con Mutua e vacanze.”
«E’ maglio fare l’operaio che gestire una pompa di benzina- Non ha dubbi Gianni Nettis, nel settore dal 1978, e ora vicepresidente della Faib Contesercenti di Torino «Almeno i lavoratori dipendenti hanno ferie e mutua pagata, i gestori delle pompe di benzina invece devono esserci sempre e fare i conti con una situazione economica disastrosa» Negli ultimi dieci anni, intatti, il mercato a torino ha registrato un calo del 33,7 %. Solo lo scorso anno, in tutta la provincia hanno chiuso 19 attività (-3.5%). Tra i blocchi auto che riducono notevolmente la circolazione dei veicoli, e quindi anche il mercato dei benzinai, e le nuove vetture che, con un pieno, arrivano a percorrere anche 700 chilometri, il settore andrebbe rivisto completamente. «Non ci sono più le dinamiche di una volta. C’è bisogno di fare un ammodernamento serio della rete e razionalizzare il settore-è la lucida analisi di Nettis -. Ci sono troppi impianti e i gestori, in queste condizioni, non reggono più». Oltre alla liberalizzazione del settore, anche i blocchi per contrastare l’inquinamento ci mettono del loro per prostrare esercenti già in affanno. «Le macchine a gasolio non stanno circolando in questi giorni. Questo vuol dire perdere almeno il 30% degli incassi – spiega ancora il benzinaio -. Sono d’accordo che sia necessario pensare prima di tutto alla salute, ma il danno economico per i commercianti è innegabile». Così sono rimasti in 85 a Torino a tirare avanti, tra non poche difficoltà. «Ci sono gestori che portano a casa meno soldi di un lavoratore dipendente medio – puntualizza Nettis – Chi si mette in affari perché cerca lavoro dura tre o quattro mesi al massimo, si mangia un po’ di soldi e poi lascia perdere».
A conti fatti con i volumi di oggi un dipendente del caporalato riporta a casa 2.50 Euro a ora, senza rischi, senza mutua e senza se, un gestore che vende 800.000 litri tolte le spese vive, evitando qualche tassa riporta a casa 0.60 centesimi ora, con l’illusione di essere tutelato, ma in realtà senza diritti come un dipendente di un caporale, con un sacco di responsabilità, tanti rischi e non può nemmeno usufruire del reddito di cittadinanza come il collega dipendente del caporale. QUESTA E’ L’IRONIA DELLA NOSTRA SORTE