Il fenomeno delle petroliere magazzino non è mai stato così diffuso. Ma il mercato ora è in ripresa e i barili potrebbero presto tornare sul mercato
Le scorte di petrolio a bordo di navi non sono mai state così alte nella storia: addirittura 240 milioni di barili, tra greggio e prodotti raffinati, secondo le stime di Lloyd’s List, volumi che a questo punto hanno superato anche i livelli record del 2015-16. Ma qualcuno comincia a intravvedere un’inversione di tendenza.
Alcuni carichi di greggio che erano fermi da tempo nel Mare del Nord sono stati offerti in vendita giovedì 14 attraverso il piattaforma Platts, rileva Bloomberg, osservando che è la prima volta da quando il mercato è entrato in crisi a causa del coronavirus.
In realtà si tratta di un segnale ancora molto debole e gli esperti sono divisi sulle previsioni. Alcuni analisti e operatori del settore sono convinti che l’accumulo di scorte in mare proseguirà ancora a lungo, a causa della lenta ripresa dei consumi. Altri invece ritengono che presto i barili custoditi sulle petroliere come minimo smetteranno di aumentare e addirittura, secondo qualcuno, potrebbero cominciare entro l’estate a tornare sul mercato.
L’evoluzione del fenomeno non è un fattore trascurabile. Un rilascio troppo rapido delle scorte galleggianti (che sono più costose da mantenere rispetto a quelle sulla terraferma) potrebbe frenare la ripresa delle quotazioni del petrolio, che sta guadagnando fiato: il Brent ha superato 32 dollari al barile, il Wti ormai sfiora quota 30 dollari, entrambi ai massimi da due mesi.
Ad osservare con ansia il livello degli stoccaggi c’è anche (forse soprattutto) il settore marittimo, che durante la pandemia – con le crociere sospese e i container bloccati nei porti – ha ricevuto ossigeno quasi esclusivamente dalle navi cisterna.
I noli delle petroliere sono saliti alle stelle, fino a superare 250mila dollari al giorno sul mercato spot il mese scorso. Ma c’è già stata una drammatica inversione di tendenza: oggi si registrano valori inferiori a 50mila dollari al giorno per le Vlcc (Very Large Crude Carriers).
In una decina di giorni, a cavallo tra aprile e maggio, i costi di trasporto del greggio dal Golfo Persico alla Cina sono crollati del 70%, quelli dalla stessa area al Golfo del Messico di quasi l’80%.
È l’entrata in vigore dei tagli di produzione dell’Opec Plus, dal 1° maggio, ad aver cambiato drasticamente le condizioni del mercato.
Nei mesi scorsi le esportazioni di greggio correvano, sospinte dalla guerra dei prezzi scatenata da Arabia Saudita e Russia. E la richiesta di petroliere era altissima, con prenotazioni forse in parte gonfiate ad arte da Riad, nell’ambito della strategia per superare i concorrenti. Intanto la riduzione dei consumi petroliferi era al picco, con rigide misure di lockdown quasi ovunque nel mondo.
L’enorme eccesso di forniture petrolifere ha scatenato un vero e proprio assalto ai depositi di stoccaggio, che sulla terraferma sono arrivati a un soffio dall’esaurirsi: una situazione estrema, che è stata tra le cause del crollo sotto zero delle quotazioni del Wti lo scorso 20 aprile.
Il ricorso alle petroliere magazzino non è una novità. L’espediente è già stato utilizzato in passato in altri periodi di crisi, ma mai per volumi così ampi e diversificati. Oggi in mare ci sono grandi scorte anche di prodotti raffinati, persino quelli più volatili, come la nafta o il cherosene, che rischiano col tempo di evaporare. Addirittura ci sono navi metaniere impiegate come depositi di Gas naturale liquefatto, un fenomeno davvero raro.
Lloyd’s List Intelligence conta 225 navi cisterna di varie dimensioni – dalle Vlcc alle Aframax – impiegate come stoccaggio petrolifero galleggiante, per un totale di 240 milioni di barili, in aumento di quasi il 50% rispetto ai 163 mb stimati un mese fa.
La società britannica classifica come stoccaggi le navi cariche ferme all’ancora da almeno 20 giorni, ma il suo non è un criterio universale. Anche i metodi di osservazione del fenomeno sono eterogenei. Dunque, a seconda delle fonti, si hanno stime diverse.
Tutti però concordano che le scorte a mare hanno raggiunto i massimi storici. Per S&P Global Platts ci sono «oltre 200 milioni di barili» custoditi su navi, un carico che occupa circa il 5% della capacità della flotta globale e che potrebbe in teoria addirittura quadruplicare: il tetto massimo «ragionevole» è del 10-20%, che significa 400-800 mb, osserva la società. Per Kpler l’accumulo questa settimana è arrivato a 180 mb, raddoppiando dall’inizio di marzo.
Gli stoccaggi a mare secondo Erik Broekhuizen di Poten & Partners «continueranno probabilmente a crescere nei prossimi mesi, perché molte navi noleggiate di recente si stanno ancora spostando verso la destinazione e in qualche caso non sono state nemmen o caricate».D’altra parte, aggiunge il consulente, alcune petroliere non sono state intenzionalmente destinate all’impiego come stoccaggio: chi non ha agito a fini speculativi alla prima occasione venderà il carico.
I tagli di produzione (dell’Opec Plus e non solo) ora sono una realtà. E con l’allentamento delle misure anti-contagio i consumi stanno rialzando la testa. Intanto non solo il petrolio è salito di prezzo, ma sul mercato è quasi scomparso il supercontango, che incoraggiava l’accumulo di scorte: i barili per consegna differita sono tuttora più cari di quelli a pronti, ma lo spread si è molto ridotto.
L’inversione di tendenza per gli stoccaggi a mare potrebbe essere vicina. Sia Platts che Clarksons Research segnalano che la settimana scorsa c’è già stata una prima riduzione, benché molto modesta.
Fonte: Il Sole24Ore