Staffetta Quotidiana – La necessità di dare una risposta forte, rapida ed efficace alla crisi provocata dalla pandemia ha determinato lo slittamento di alcuni concetti chiave dell’azione politica in economia: dal perimetro dell’intervento pubblico nelle aziende alla questione del debito pubblico, dal ruolo dello Stato rispetto al privato fino alla questione delle liberalizzazioni e della concorrenza. Su quest’ultimo punto può essere utile fare qualche osservazione, in particolare per quanto riguarda la distribuzione carburanti. Perché se un bilancio delle liberalizzazioni nei settori dell’elettricità e del gas si è potuto stilare in occasione dei vent’anni delle riforme Bersani e Letta, per il settore dei carburanti (anche se strutturalmente diverso in quanto mai monopolistico né regolato), questo ancora non si è fatto. Pur essendo stato negli anni oggetto di più ondate di liberalizzazioni, soprattutto sotto la spinta di mai dimostrate collusioni sui prezzi e di accuse sull’oligopolio delle compagnie. A otto anni di distanza dall’ultimo intervento del 2012 qual è il bilancio?
Partiamo dal contesto generale. Ieri Confservizi ha chiesto l’allungamento di tutte le concessioni (per la distribuzione elettrica e del gas, per le derivazioni idroelettriche, per i servizi idrici) in modo da dare certezza ai titolari di quelle concessioni e con essa la possibilità di investire. Nell’idroelettrico e nel gas in effetti è tutto fermo da diversi anni per l’incompletezza o l’inefficacia del quadro normativo. Nella distribuzione gas in particolare l’aria che tira in questi giorni è di mettere in secondo piano le gare, concentrandosi sugli investimenti subito e sulla partita degli incentivi alle integrazioni su cu a breve, in luglio, l’Arera pubblicherà un atteso documento di consultazione. In generale, il contesto sembra indicare una maggiore prudenza sui meccanismi della liberalizzazione.
Prudenza che – oggi si può dire – non c’è stata nel settore della distribuzione carburanti. L’ultima liberalizzazione fu quella attuata con Monti a Palazzo Chigi e Passera e De Vincenti a via Veneto. La riforma, al cuore, liberalizzava l’approvvigionamento dei carburanti anche per i punti vendita convenzionati, dando la possibilità di ricorrere a canali diversi da quelli delle compagnie. L’effetto più evidente è stata l’esplosione delle “pompe bianche”. Nel nostro dossier quotidiano contiamo ormai 220 marchi, la punta di un iceberg che ormai raccoglie un quarto dei punti vendita della rete italiana. Quella che il presidente UP ha chiamato la “polverizzazione” della rete.
Un ulteriore effetto clamoroso è stato il dilagare delle frodi, soprattutto sull’Iva, e l’aumento dei depositi fiscali e commerciali e dei destinatari registrati, pur in un mercato in contrazione.
Un’altra conseguenza, su cui non ci sono dati ufficiali, è la riduzione dei margini: il settore, a detta di quasi tutti i protagonisti, è diventato infinitamente meno profittevole rispetto a dieci anni fa.
Effetto collaterale di questo calo della marginalità sono le tensioni che si riversano sull’anello più debole della filiera, quello dei gestori. Da sempre sul crinale tra maggiore tutela sindacale e voglia di uscire nel mare aperto dell’imprenditorialità, i gestori sono alle prese con una progressiva frammentazione della rappresentanza, specchio della polverizzazione dell’assetto della rete ma anche della crisi generale del settore.
Le liberalizzazioni hanno avuto un effetto sui prezzi? L’aumento della concorrenza (non sempre leale, anzi) ha sicuramente esercitato una pressione sui prezzi, da cui potrebbe dipendere il calo dei margini. Anche il sostanziale azzeramento degli Stacchi Italia potrebbe essere il segno di un calo dei prezzi. Quanto a quest’ultimo punto, tuttavia, il calo strutturale degli “stacchi” si registra all’inizio del 2013, in corrispondenza con l’adozione del nuovo metodo di rilevazione dei prezzi Italia, basato su una media settimanale del “prezzo più basso”, cioè sul self service (sconti compresi). Un andamento, dunque, che ci racconta la discontinuità del metodo di rilevazione, più che quella dei prezzi.
Mettiamo anche che il calo dei prezzi ci sia stato: ne è valsa la pena? La liberalizzazione ha generato investimenti, attratto operatori, reso migliore la rete, il servizio?
Sugli investimenti ci sono luci e ombre: i retisti, ad esempio, hanno investito nel Gnl dando vita a un nuovo settore in cui oggi l’Italia è leader in Europa. D’altro canto, sono ancora tanti i punti vendita abbandonati o semi abbandonati che vediamo sulle nostre strade. Quanto all’attrattività: l’ultima liberalizzazione sembra aver accelerato l’uscita dei grandi operatori, quel disimpegno delle compagnie che era già in atto prima del 2012 ma che dopo l’intervento di Monti ha visto l’addio di Shell, Total, Erg e lo spacchettamento della Esso. Mentre sul fronte dei retisti non si registrano grandi operazioni di aggregazione. Ad aumentare tanto è stato il numero dei trader, dei broker, degli intermediari.
Alla vigilia della “riforma” UP avvertiva che la fornitura in esclusiva del prodotto “garantisce il consumatore sugli standard di qualità e di sicurezza del prodotto e di tutta la catena distributiva” oltre a consentire “l’identificazione delle responsabilità legate al rispetto delle norme a tutela dell’ambiente e della sicurezza e delle normative fiscali”. Ferrari Aggradi scriveva che “liberalizzare significa anche comprendere e capire il mercato su cui si interviene e essere sicuri degli effetti prodotti”.
In quei giorni di amenità se ne videro molte, dal “libera la benzina” all’esproprio dei punti vendita, dallo stop all’esclusiva nel contratto di comodato al fantomatico “impianto multi-marchio”, fino alla visione autarchica della sostituzione del Platts con una “borsa del petrolio” nazionale.
Un bilancio con più ombre che luci, ci pare di poter dire.
Per gentile concessione di Staffetta Quotidiana
Ottima analisi che richiama il passato ma soprattutto il presente. Resta purtroppo un analisi “storica”. Mancano le proposte che devono a parer mio essere concrete, fattibili ma soprattutto chiare. Serve l’impegno di tutti perché nascondere i problemi ormai non giova più a nessuno.