Spinaci: “Gestire la transizione evitando contraccolpi pericolosi”

Quotidiano Energia -Il presidente di Unem: “La sostenibilità deve essere anche sociale, dibattito in Europa inchiodato sull’elettrificazione ma il nodo è come produrre più energia da Fer e low-carbon, senza investimenti nell’oil&gas rischio di pesante crisi energetica”. Gli altri interventi all’assemblea dell’associazione

“La domanda di energia ha ripreso a crescere in modo significativo ed è in larga parte coperta dalle fonti fossili, che sono ancora dominanti e lo saranno ancora per diversi decenni”. Sono le previsioni Aie che spingono il presidente di Unem, Claudio Spinaci, a chiedere un “dibattito non ideologico”, che in Europa è invece “inchiodato su un unico tema: la completa elettrificazione dei consumi”.

Intervenendo all’assemblea annuale dell’associazione, Spinaci ha ricordato che attualmente la produzione elettrica mondiale “deriva solo per circa il 30% dalle Fer, di cui più della metà idroelettrico, e dunque il problema non è come consumare l’energia elettrica Fer e/o decarbonizzata, semmai come produrre più energia da Fer e con processi sempre più decarbonizzati”.
 
Upstream: servono investimenti per evitare sbilanciamenti tra offerta e domanda
 
Per quanto riguarda il petrolio, che soddisfa “oltre il 90% del fabbisogno energetico dei trasporti”, la domanda è scesa durante la prima ondata della pandemia ed è poi ripartita e continua a crescere, con una stima Aie di ritorno a fine 2021 ai livelli 2019 vicino ai 100 mln b/g per arrivare nel 2026 a più di 104 mln b/g. Di conseguenza, avverte Spinaci, “entro il 2026 dobbiamo aumentare la produzione per non avere sbilanciamenti tra offerta e domanda” e “chi preconizza l’uscita dalle fonti fossili limitando gli investimenti in ricerca e sviluppo di nuove possibilità di estrazione commette un gravissimo errore che mette in forte pressione la copertura mondiale di energia”.
 
E qui entrano in gioco gli investimenti in E&P, che nel 2020 hanno subito una riduzione media del 25% con sensibili differenze tra le compagnie occidentali, che li hanno tagliati del 30% (del 50% i produttori Usa di shale oil), e le Noc dei Paesi produttori, i quali hanno ridotto le spese di meno del 20% con l’effetto di accrescere la loro posizione di mercato. “In questo modo l’Occidente continua a ridurre il proprio peso sulle attività estrattive e soprattutto sulla raffinazione e dipendere dai Paesi non-Ocse per l’approvvigionamento di prodotti finiti sarebbe estremamente penalizzante”, rileva il numero uno di Unem, che teme per la sicurezza degli approvvigionamenti energetici “perché delocalizzando interi settori industriali, come quello della raffinazione, ci esporremo ad enormi rischi”.
 
Non a caso, il baricentro della raffinazione mondiale si sta spostando verso Oriente. Della nuova capacità che entrerà in funzione nel periodo 2020-2026, in totale 8,5 mln b/g a fronte di chiusure per 3,6 mln b/g, circa 6,2 mln b/g sono progetti greenfield (di cui un terzo in Cina) e 2,2 mln b/g di espansione, mentre in Europa si stimano chiusure per circa 1 mln b/g.
 
Il rischio di delocalizzazione
 
“C’è un rischio di delocalizzazione forte con forte indebolimento della tenuta industriale economica senza vantaggi ambientali e della decarbonizzazione”, sottolinea Spinaci, convinto che “la vera sfida” sia riuscire a gestire la transizione verso altre fonti evitando contraccolpi” perché “la sostenibilità va intesa non solo da un punto di vista ambientale, ma anche economico e quindi sociale”. Ad esempio, nel Pnrr italiano, la “missione” mobilità sostenibile “ha molte implicazioni, sociali, economiche e geopolitiche”, che richiedono “una riflessione seria, basata su elementi scientifici, mentre oggi scontiamo un dibattito per slogan, troppo superficiale rispetto alla posta in gioco”.
 
Venendo alla situazione italiana, Unem prevede nel 2021 una fattura petrolifera in crescita di circa 5 mld €, di cui 3,7 mld € dovuti all’aumento del costo del greggio importato e 1,2 mld € alla crescita dei consumi, e un contestuale recupero del gettito fiscale delle accise che quest’anno dovrebbe tornare sopra i 23 mld  (+2,6 mld € rispetto al 2020).
 
Lato consumi petroliferi, le proiezioni dell’associazione indicano nel 2021 un recupero dei prodotti di circa il 4%, che ridurrà il gap con il periodo pre-Covid a circa il 6%. Il dato è una combinazione di due elementi: da un lato un allineamento al 2019 dei consumi di carburanti già da luglio, dall’altro un andamento ancora rallentato della domanda di jet fuel che, seppure in crescita del 27% sul 2020, resterà ancora inferiore del 53% al 2019. In questo senso, Spinaci rimarca che le aziende operanti in ambito aeroportuale “hanno subito gravi perdite ma non hanno avuto misure di sostegno” e il previsto ritorno della domanda di jet fuel ai livelli pre-Covid “non prima del 2024-2025” è “un periodo troppo lungo da sopportare”.
 
“Non escludere la raffinazione dalla transizione”
 
Discorso analogo per la raffinazione, “anche se in questo caso la pandemia ha solo acuito una crisi già in atto”, ha affermato il presidente di Unem, evidenziando che i margini in discesa e il tasso di utilizzo di oltre 10 punti più basso di quello degli ultimi anni stanno “generando una crisi profonda”. Servono perciò “interventi strutturali per avviare la raffinazione alla transizione con continua e graduale sostituzione del petrolio come materia prima”, attraverso “una normativa neutrale che oggi non esiste e sulla quale anche l’Europa ha forti ritardi”.
 
Unem chiede di “non escludere la raffinazione dalla transizione”, intervenendo sulle attuali norme per renderle “neutrali” e più efficaci: dall’adozione del “Carbon border adjustment mechanism” a un calcolo integrato delle emissioni di CO2 “che non sia limitato allo scarico”, con un sistema di trading di certificati/crediti tra produttori di carburanti e costruttori di veicoli.
 
Ma “un processo di tale complessità”, ha detto Spinaci, “deve poter contare su una filiera industriale in salute, in grado di generare le risorse necessarie a sopportare gli enormi investimenti previsti, stimati a livello europeo in oltre 600 mld €”.
 
Il nodo illegalità carburanti
 
In questo senso un problema in più per l’Italia è “la diffusa illegalità nella distribuzione dei carburanti, fenomeno degenerativo che colpisce gli operatori virtuosi”. Per Spinaci, “il fatto stesso che i prezzi dei nostri carburanti, al netto delle tasse, continuino ad essere inferiori di 3-3,5 cent€/litro rispetto alla media dell’area euro, pur con una rete ridondante e con scarsa redditività, dovrebbe farci capire che qualcosa continua a non andare”.
 
Gli interventi all’assemblea
 
Sull’illegalità è intervenuta all’assemblea Unem anche la sottosegretaria Mef Maria Cecilia Guerra, che l’ha definita “un elemento di alterazione della concorrenza” che tra l’altro “porta all’immissione in consumo di prodotti alterati, che danneggiano proprio la transizione e comportano rischi per la sicurezza stradale”. Per questo, ha affermato Guerra, “gli elementi di tracciabilità, anche dei flussi finanziari, devono essere potenziati ai fini della prevenzione e del controllo”.
 
All’evento dell’associazione hanno inviato messaggi video i presidenti della commissione Industria del Senato, Gianni Girotto, e Attività produttive della Camera, Martina Nardi, il primo per rilevare che “questo settore che si è basato sinora sui fossili si dovrà trasformare verso il biometano, gli Hvo e gli e-fuel”, la seconda per confermare che “la questione dell’infrastrutturazione della rete carburanti è un tema importante e il Pnrr è una grande occasione”.
 
Il vice-ministro Mise Gilberto Picheto Fratin ha assicurato per parte sua che il tavolo automotive servirà anche per “accompagnare una trasformazione del nostro sistema distributivo”. Il settore, ha spiegato, è “importante per il Paese e va accompagnato nel trasformarsi, non abbandonato”.
 
All’evento è stata trasmessa inoltre un intervista a Romano Prodi, che ha definito la delocalizzazione della raffinazione “un problema serissimo”, mentre la sottosegretaria al Mite Vannia Gava ha annunciato il prossimo avvio di due tavoli al ministero dedicati alla rete carburanti e alla raffinazione.
 
Sono intervenuti di persona il delegato per l’energia del presidente di Confindustria, Aurelio Regina, e il presidente di Fise-Assoambiente, Chicco Testa. A giudizio di Regina, per la mobilità si deve “guardare a un mix di prodotti perché non c’è una strada sola”. Inoltre, la transizione “va affrontata con gradualità e realismo con la consapevolezza che ci vorranno i tempi e le modalità giuste”. Testa ha invece lanciato un allarme sulla carbon tax alle frontiere, giacché “la metà della CO2 accumulata è responsabilità di Usa, Europa e Giappone e i cinesi e gli indiani dal punto di vista procapite emettono molto meno di Usa ed Europa” e si rischia di scatenare “una guerra dei dazi”. Il presidente di Fise-Assoambiente ha auspicato poi “un’indagine seria e approfondita sui costi e le conseguenze della transizione”.
 
Per gentile concessione di Quotidiano Energia 
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