Staffetta Quotidiana – Intervista a Giovanni Maffei, responsabile commerciale raffinazione, bioraffinazione e marketing di Eni
Una rete che sembrava un business “a perdere” e che invece diventa il perno della transizione trasformandosi in hub di servizi; la razionalizzazione tra nuove norme e illegalità; la nuova organizzazione delle attività extrarete; la conferma e il rilancio della centralità del gestore; lo sviluppo dei carburanti alternativi, dal Gnl al metano compresso, dall’idrogeno alle colonnine elettriche, in vista del servizio di “cambio batteria” per la mobilità elettrica in sharing; i servizi per la mobilità, con lo sviluppo dei parcheggi di interscambio per integrare lungo, medio e corto raggio attraverso la collaborazione con Itabus e Avis. Il tutto nell’ambito del nuovo concetto di Eni Live Station lanciato a fine giugno.
Giovanni Maffei, responsabile commerciale raffinazione, bioraffinazione e marketing di Eni, direzione che fa capo alla dg Energy Evolution di Giuseppe Ricci, tratteggia così, in questa intervista alla Staffetta, il cambio di prospettiva del Cane a sei zampe su rete, extrarete e servizi per la mobilità. Un cambiamento avviato in piena pandemia che “sta già dando i primi risultati”, che dà una nuova centralità al downstream e intende restituire in pieno a Eni il ruolo di market leader che nelle convulse vicende della rete carburanti degli ultimi anni sembrava un po’ appannato.
Carburanti alternativi
Partiamo dai numeri: la rete a marchio Eni conta oggi 14 punti vendita di Gnl, che diventeranno 20 a fine 2022 e 40 a fine 2024. Per il metano compresso si passerà dagli attuali 104 a 120 nel 2022 fino a 140 nel 2024. I punti vendita a idrogeno saranno due a fine 2022 e 3 a fine 2024. Per le colonnine elettriche l’obiettivo è di 500 punti vendita (con mille “pistole”) nel 2022 e 1.000 (con 2.000 “pistole”) al 2024, cui c’è da aggiungere il contributo dei Eni Gas e Luce: 1.600 colonnine installate in co-branding con Be Charge, alimentate con energia verde certificata tramite garanzie d’origine fornita da Eni, più 1.700 wallbox E-Start per la ricarica domestica e business vendute nel 2021, cui se ne dovrebbero aggiungere altre 1.700 entro la fine dell’anno.
Le vendite di metano si attestano intorno ai 50 milioni di metri cubi, di cui 30 sono biometano. “Abbiamo vinto una gara del Gse per l’intero fabbisogno di biometano – dice Maffei – la produzione di biometano che ci rendono disponibile è di circa 30 mln mc. Per ragioni di correttezza quindi non pubblicizziamo il metano come ‘bio’ sulla rete. Speriamo di poterlo fare il prossimo anno nel momento in cui riuscissimo a ottenere l’intero fabbisogno”.
Quanto al Gnl, “il numero di punti vendita in Italia è eccessivamente alto rispetto alla domanda, quindi il prezzo sta franando”, la domanda “cresce ma lentamente” e questo “scatena la guerra di prezzi”. Anche per questo Eni si è concentrata sugli interporti del Nord Italia: Bologna, Verona e Brescia. “Vendiamo circa 12mila di tonnellate, cioè 800 tonnellate circa a punto vendita. E abbiamo intenzione di crescere, magari con accordi con il liquefattore Snam di Caserta e sviluppando il bioGnl, nel momento in cui Fri-El diventerà operativa, nel giro di qualche anno”. Oggi il Gnl arriva dal terminale francese di Fos.
Quanto ai biocarburanti, “stiamo iniziando sull’extrarete a sviluppare contatti per l’Hvo al 100%. Questo ci darebbe una grande opportunità perché siamo i soli produttori in Italia”.
Quanto alle colonnine elettriche, “abbiamo un accordo di massima con Enel e stiamo facendo qualche impianto con loro, ma il nostro partner principale oggi è BeCharge. Vorremmo coprire tutta la rete, con particolare riferimento alla rete di proprietà e auspicando che la rete convenzionata adegui l’offerta: pretendiamo una standardizzazione dell’offerta”.
Infine, l’idrogeno, con i due impianti in costruzione a Mestre e San Donato: il primo sarà “pronto a fine 2021 e in esercizio nel primo trimestre 2022”. L’idrogeno per questo punto vendita verrà dalla bioraffineria mentre a San Donato “sarà verde, prodotto in loco mediante elettrolisi”.
Il non oil
La trasformazione della stazione di servizio non riguarda solo i carburanti ma anche il non oil, per tanti anni una chimera sulla rete carburanti italiana. “È vero. Lavoro sulla rete da 30 anni – sottolinea Maffei – e il non oil non ha mai portato a grandi risultati. Oggi il discorso è differente per l’esigenza della transizione energetica, un passo dovuto e necessario. Noi partiamo dal presupposto che la stazione è un luogo di accesso lungo il nastro stradale: può convertirsi in mille modi ma rimane elemento centrale della mobilità. Possono cambiare i vettori, ma lì ci si deve fermare”. Eni ha “tremila punti vendita di proprietà” e “quello che garantisce la mobilità ha un valore. A questo aggiungiamo una serie di servizi tali che la stazione diventi un hub di servizi a disposizione del soggetto in mobilità. Ma anche servizi che possono rendere quell’hub centrale nel quartiere nel quale opera”.
Il punto, sottolinea Maffei, è che “Eni ha una rete che per due terzi è all’interno dei centri abitati. Ha spazi, ha parcheggi”, uno dei lasciti di Enrico Mattei che in tempi non sospetti puntò con decisione sulla realizzazione di punti vendita di grandi dimensioni. Anche per questo Eni “può offrire una serie di servizi complementari, specialmente quando i tempi di rifornimento dovessero allungarsi: ritiro pacchi, abbonamento Telepass, spesa all’emporio, lavaggio auto, colazione all’Eni Cafe – su cui a breve usciranno novità importanti”. Insomma, “la stazione può diventare il posto in cui ci si ferma mezz’ora”. Servizi per l’automobilista ma non solo, perché “c’è anche il cliente che alla stazione arriva in bicicletta. Noi intendiamo vendere mobilità. Abbiamo tanti hub sul territorio che ci consentono di creare un interscambio di mobilità”.
I servizi per la mobilità
In questo contesto si inserisce Eni Parking, progetto avviato un anno fa: “abbiamo realizzato sei Eni Parking. Ricorriamo anche ai nostri siti industriali dismessi che vengono bonificati. Lì facciamo un parcheggio per dare una continuità di mobilità a chi, oltre al rifornimento, ha bisogno di un interscambio con Enjoy. A Roma abbiamo due grandi progetti, uno in via Quirino Majorana e uno al Portonaccio”. I parcheggi “sono collegati al sistema complessivo Eni di gestione della mobilità attraverso l’app”.
Un sistema con cui Eni intende integrare e vendere “mobilità sul lungo, medio e corto raggio. Abbiamo partnership con Itabus sul lungo raggio; sul medio stiamo facendo una serie di test con Avis; e per il corto abbiamo Enjoy, che abbiamo internalizzato nella rete. Con le auto Enjoy si può andare in centro nelle Ztl, sui può lasciare l’auto al punto di scambio Eni con parcheggio gratuito pagando solo Enjoy”. Con Itabus, dice Maffei, “abbiamo avviato una collaborazione non solo nella fornitura del diesel+ e speriamo anche di Hvo, ma anche nella vendita trasversale di servizi, con la messa a disposizione del servizio Enjoy nelle destinazioni Itabus dove Enjoy è disponibile”. Con Avis invece “stiamo pensando che la stazione diventi l’hub di ritiro e consegna dell’auto, con il gestore del punto vendita che fa check in e check out”. Per Enjoy l’obiettivo è “uscire dalle cinque città in cui è presente”.
A questo quadro composito si aggiungerà a brevissimo un servizio di “battery swap”, il cambio di batteria su piccole auto elettriche in sharing – tecnicamente quadricicli – servizio su cui Eni annuncerà presto novità.
La digitalizzazione
Tutto questo testimonia di una nuova centralità del downstream nell’ambito del gruppo. “C’è molto interesse da parte dei vertici. C’è la consapevolezza che rappresentiamo il biglietto da visita dell’Eni”. In più, “i risultati della rete e della distribuzione sono stati buoni”. Insomma, “c’è una forte focalizzazione dell’azienda sul downstream retail, anche perché ci sono aspettative ben giustificate. Noi – sottolinea Maffei – abbiamo avuto il coraggio, in piena pandemia, di avviare questo percorso di sviluppo dei servizi sulla rete: gestire 3.000 stazioni è stato durissimo per i gestori e per noi. Ma abbiamo fatto un passo in avanti che è stato apprezzato e sta dando risultati”.
C’è poi il capitolo digitalizzazione. “La app Eni Live completa l’offerta sul fisico con quella digitale. Tutti i servizi che fanno parte della proposta rete Eni si trovano sull’app”, dove convergeranno tutti i clienti, quelli della rete e quelli di Enjoy. “È un digitale che si somma al fisico, una forza che non tutti hanno”. Nell’ambiente automotive, sottolinea Maffei, guardano con molto interesse a questo “ambiente in cui l’auto si incontra con i servizi. Quando diciamo che abbiamo un milione di contatti al giorno sulla nostra rete, parliamo di un milione di rifornimenti. Ma diventano 2-3 milioni contando anche i passeggeri”. Una prospettiva in cui “si abbandona il ‘ferro’ e si va sul cliente” perché “il cliente non tramonta mai. Il non oil si svilupperà così. Noi abbiamo preso la rincorsa, vediamo chi riesce a prenderci”.
Nell’ambito del processo di digitalizzazione c’è il progetto “Eni Virtual Station”, una “tappa fondamentale. La Virtual Station è un ulteriore traguardo, partendo dalla gestione in cloud delle Eni Live Station attraverso un’architettura proprietaria brevettata da Eni, e innovativi terminali di piazzale: monitor digitali che associano alle funzioni tradizionali di pagamento la possibilità di interagire direttamente con il cliente comunicandogli iniziative, offerte e servizi personalizzati, attraverso la conoscenza nel dettaglio delle sue preferenze e abitudini di consumo. Il roll-out della nuova architettura è in corso sulla rete Italia e prevede il raggiungimento di 1.700 punti vendita già entro la fine del 2021, per completare la trasformazione dell’intera rete entro marzo del 2022”.
La razionalizzazione della rete
Ma il “ferro”, i punti vendita, restano troppi in Italia. I diversi tentativi di razionalizzazione non hanno portato grandi risultati. “Noi abbiamo razionalizzato nel 2000 con la gestione dei pacchetti, facendo di due reti una sola. Quello che non è ancora razionalizzato molto spesso è a marchio Eni ma non di proprietà. Magari è qualche convenzionamento che porta dentro grandi impianti e qualche impianto piccolo”.
Dal punto di vista normativo lo strumento secondo Maffei può essere “un’autorizzazione rafforzata, non una concessione”, come proposto dalle associazioni dei gestori, “con una verifica importante del soggetto che entra, delle sue capacità organizzative”. A questo andrebbe aggiunto “un sistema coercitivo sulle chiusure per impianti che non rispettano le normative di sicurezza, ambientali e del codice della strada” e “verifiche periodiche sul soggetto e sulla stazione”. Ad aiutare il processo potrebbe intervenire “un sistema di incentivi alla chiusura per impianti che non sono incompatibili ma che hanno erogati molto bassi. Un’idea potrebbe essere convertirli in punti di ricarica elettrica”. Obbligarli a chiudere però non può essere una strada: “non possiamo far chiudere niente a nessuno se non ci sono i presupposti – e tra questi non rientra un erogato al di sotto dei 500mila litri”.
Il gestore
In questo radicale cambiamento di prospettiva, in cui la rete non è più un asset “a perdere” ma un perno su cui far ruotare una quantità di nuovi servizi, Eni “non può che mettere il gestore al centro del progetto, come ha fatto con il rinnovo dell’accordo”, anche “differenziando i compensi per il gestore tra servito e Iperself: uno è quasi il doppio dell’altro, 35 euro per mille litri contro 65. Praticamente un litro venduto al servito vale due litri venduti all’Iperself. Abbiamo rivisto il bonus di fine gestione, abbiamo dato un contributo sul Pos unico Eni perché consente di avere accesso a merchant fee migliori per il gestore, abbiamo dato un’incentivazione per le vendite sul servito”. Insomma, “penso che sia un accordo molto positivo e un segnale molto forte. E credo ci sia soddisfazione da entrambe le parti. Ora dobbiamo avere l’intelligenza di farlo fruttare, perché tutto cambierà molto velocemente e dobbiamo avere la capacità di anticipare il business. L’azienda, per la strada che ha preso, non può più fare a meno dei gestori. Questo è il segnale forte, al di là delle schermaglie”.
C’è dunque la possibilità di aumentare la quota del servito o il prezzo è ancora la leva principale per chi fa rifornimento? E come si concilia questa spinta con il fatto che il differenziale di prezzo tra self e servito si aggira ormai intorno ai 20 centesimi al litro? “Dipende dalla qualità del servizio. Se quando mi fermo posso restare all’interno dell’auto perché c’è il Pos wireless, se ho la pulizia del vetro, il controllo dei livelli, allora può esserci una percentuale ancora maggiore che sceglie il servito”. D’altronde, sottolinea Maffei, “oggi su un impianto che fa un milione di litri l’attività del gestore vale 250mila litri. Gli altri 750mila vanno addirittura con l’accettatore di banconote. Quando ho iniziato a lavorare, su un impianto da un milione di litri c’era una persona sola e c’era solo il servito”. In altre parole, “secondo noi c’è il modo per fare un servizio migliore a tutela del cliente e dell’immagine dell’azienda. Quando si arriva sotto la pensilina bisognerebbe avere la qualità di servizio che il cliente che paga merita. Non è più una questione di rapporto tar azienda e gestore ma di buona educazione verso chi dà da mangiare a tutti, che è il cliente”.
E il cliente che cerca solo il prezzo “ha scelto da tempo. Ci sono le pompe bianche, c’è stato ‘Riparti con Eni’ che ha portato ad avere consapevolezza del prezzo”. Con gli scontoni, sottolinea Maffei, “Eni ha svolto anche un ruolo ‘sociale’, nell’indicare la possibilità di fare rifornimento da soli e accedere al prezzo più competitivo”.
L’extrarete
Venendo all’extrarete, il settore “è residuale in termini di marginalità unitaria ma è molto importante. E ci dà ancora molta soddisfazione”. La novità del 2021 è l’unificazione di tutte le attività in Enifuel. “Avevamo la gestione dell’extrarete divisa su due aziende, Eni R&M e Eni Fuel, che faceva la parte ‘di consumo’, nella quale entravano i piccoli rivenditori. Di rivenditori però ce n’erano anche in Eni R&M. Insomma, era la ricetta del disastro”. Per questo “abbiamo deciso di creare un’azienda unica che si occupasse di extrarete”, che si interfacciasse con i rivenditori e con i consumatori. “Così abbiamo sistemato certe distonie, certe contrapposizioni e una certa concorrenza che c’era tra le due linee. Questa unificazione ha portato un miglioramento. Credo che il mercato lo abbia apprezzato, ho rilevato una forte calmierazione delle situazioni di contrapposizione”, anche se, lavorando attraverso agenti che “guadagnano se vendono”, la dinamica “non può essere azzerata”.
Alcuni rivenditori hanno lamentato contingentamenti di volumi da parte di Eni. “Non ci sono contingentamenti. Noi abbiamo un’assegnazione giornaliera di vendite di prodotto, immediatamente a valle dell’uscita per la rete: tutti i depositi assegnano i volumi alla rete, poi esce il prodotto per l’extrarete. Quest’anno ci sono stati periodi in cui le quotazioni hanno avuto oscillazioni rilevanti. In questi casi molti rivenditori chiedono anche dieci volte di più di quello che ritirano normalmente”. A queste richieste “Eni risponde che, avendo una determinata quantità, continua a suddividerla esattamente come nel periodo di normale andamento del prezzo, mantenendo tutti i giorni lo stesso criterio nei confronti dei clienti, senza aiutare chi vuole arrivare prima per ‘svuotare il negozio’”.
L’altro punto dolente per i rivenditori è il continuo aumento della componente di prezzo determinata dall’obbligo di miscelazione di biocarburanti. Il metodo Eni è lineare: “quando abbiamo l’80% degli acquisti di prodotto bio del trimestre successivo, allora ribaltiamo la variazione sui prezzi. Non c’è nessuna speculazione”.
L’illegalità
Su questa componente crescente del prezzo si stanno ultimamente concentrando le attenzioni del “mercato parallelo”: aggirare un obbligo che vale ormai quasi cinque centesimi al litro può dare un vantaggio competitivo importante a chi non intende rispettare le regole. Che evoluzione sta avendo il fenomeno delle frodi? “La digitalizzazione ha portato degli indubbi benefici. Abbiamo visto un incremento importante del numero di interventi, arresti, sequestri. Il sistema è ancora distante dall’aver trovato un ritorno alla normalità ma ciò che è stato messo in campo ha aiutato. Come Eni siamo molto attenti, sulla nostra rete facciamo controlli molto seri tra il prodotto ritirato, il venduto e le giacenze. Eni non ha mai avuto grandi situazioni di imbarazzo sulla nostra rete, i casi si contano sulle dita di una mano”.
Perché Eni è contraria all’attuazione del reverse charge? “È un intervento che non risolve ma trasferisce a valle il problema”, risponde Maffei. “Avremmo una moltitudine di soggetti terzi debitori delle Entrate anche per importi significativi. Rendendo il gestore debitore Iva si rischia di trasferire il fenomeno dell’illegalità su oltre ventimila impianti, su società che cambiano continuamente ragione sociale”. Senza contare che la stessa Commissione europea ha detto qualche tempo fa, rispondendo alla richiesta della Lituania, che il reverse charge in questo settore “era solo un modo per trasferire a valle il rischio. Secondo noi non è la soluzione”. Inoltre, questo implicherebbe “chiedere al gestore coperture finanziarie importanti”. Ma il gestore almeno è sul territorio, è facilmente individuabile. “Sembra una semplificazione ma è un rimedio peggiore del male”.
Per gentile concessione di Staffetta Quotidiana
Ma è una intervista o una favola mal raccontata?
Le decine di impianti abbandonati in mesta attesa di un gestore raccontano un’altra realtà.