Mi avrebbero affidato il piccolo bar !! Il sogno di una vita, sin da quando la domenica, non tutte in verità, mio padre, col distributore chiuso ( una domenica su quattro al mese) mi portava – ed ero ancora piccolino- a fare colazione nel locale della piazzetta del paese. In realtà piu’ che mangiare un cornetto e bere una tazza di latte caldo ( il caffè mi era proibito, data la giovane età) mi affascinava l’idea di rimirare quelle colonne di caramelle , dolcetti, cioccolatini messi in bella mostra su uno scaffale vicino alla cassa.
Alla cassa poi c’era la figlia del proprietario ! Una bellezza imbarazzante che già stimolava i miei primi pruriti della pubertà . Bella, prosperosa e sempre sorridente. Il momento piu’ emozionante per me, quindi, era quando mio padre si avvicinava alla cassa e tirava fuori pochi spiccioli per pagare quei pochi istanti di felicità. Mi ricordo che non arrivavo al bancone e quindi, con delicatezza, mio padre prendeva il cornetto e la tazza di latte e mi faceva sedere accanto ad un tavolino. Da li’ potevo incantarmi a guardare le caramelle o la cassiera. Il mio sguardo spaziava e la mia immaginazione pure, dagli arcani tesori dei cioccolatini ai piu’ misteriosi segreti delle pieghe del vestito della cassiera. Insomma, un rito, una magnificenza.
Ho sempre voluto gestire un bar, quindi. Ne sarei stato capace sicuramente. E finalmente quei locali chiusi da tempo dietro le pompe del mio distributore sarebbero stati riaperti, rimessi a nuovo: già mi immaginavo il sindaco del paese che tagliava il nastro, quelle foto celebrative in cui appare l’addetto rete della mia compagnia, il caporea, il direttore generale , il sacerdote, l’ufficiale dei carabinieri e il famoso avvocato e dietro, molto dietro, si intravede la indistinta figura del gestore, che si riconosce appena solo per via della divisa. Ma che importava ? Avrei avuto il bar ! La mattina presto , ancor piu’ presto di quando apro l’impianto, avrei alzato le saracinesche, acceso la macchina del caffè, accolto il ragazzo della pasticceria con i cornetti appena fatti, avrei incominciato a preparare dei panini col pane fresco – passavano tanti lavoratori sul mio impianto che si sarebbero fermati a comprare qualcosa per il pranzo – avrei messo le sigarette in bell’ordine, scritto un bel cartello con l’invito per l’aperitivo della sera per chi , ritornando a casa, voleva godere di un buon calice di vino bianco e di un gustoso assaggio di specialità locali, non i soliti tramezzini ormai moribondi o delle olive calcificate provenienti da paesi quasi asiatici, come da altre parti distribuivano !
Un sogno che si avverava !! Avrei avuto un bar !!
Prima ancora che iniziassero i lavori, pero’, insomma, prima ancora che alzassero quelle saracinesche chiuse da tempo, erano venuti quelli della compagnia petrolifera a propormi un contratto, che poi non era ancora un contratto . Una voluminosa raccolta di pagine e pagine nelle quali mi sarei impegnato a corrispondere un certo canone fisso annuale, piu’ una percentuale sugli incassi in aggiunta, a utilizzare solo pasticceria precongelata fornitami esclusivamente dalla stessa compagnia petrolifera, a vendere solo bibite consegnatemi dalla stessa compagnia petrolifera, a collegarmi con il registratore di cassa alla loro centrale operativa ( modalità che un po’ mi avrebbe infastidito non perchè volessi nascondere gli incassi ma perchè i prezzi erano precodificati e non avrei potuto modificarli..) , a riconoscere infine un valore che loro definivano “fee” sulle merci acquistate – sempre da loro ovvio – . Insomma, non mi fece desistere tutta questa accozzaglia di norme, vincoli, clausole capestro e, non di poca importanza, costi stratosferici ! Avrei avuto un bar finalmente ! Finalmente avrei integrato i magri margini sui carburanti con una attività che mi sentivo mia , avvolto dai profumi della pasticceria, dal piacevole gorgoglio della macchina del caffè, inebriato dal vociare , attorno al bancone , dei clienti che avrebbero parlato di sport, di donne, di pettegolezzi, di politici, delle tasse, del governo ladro.. Insomma, un mio riscatto personale dopo anni passati sul piazzale a vendere solo benzina e a guardare sconsolato quelle saracinesche chiuse e quei locali inutilizzati.
Certo, l’investimento che avrebbe fatto la compagnia sarebbe stato grosso. Certo, il bancone, i frigoriferi, la macchina del caffè, lo spremiagrumi, le piastre per scaldare , gli scaffali, i tavolini etc..etcc. sarebbero stati installati dalla compagnia e questo, mi pareva piu’ che lecito, giustificava il mio impegno a corrispondere belle somme ogni mese, oltre alla percentuale sugli incassi, oltre a questo famigerato “fee” ( mica avevo capito cosa fosse , ma mi avevano spiegato che il modello contrattuale era il franchising : già la parola mi rincuorava in quanto mi faceva pensare a rapporti franchi, sinceri, trasparenti. )
Facemmo, con tutti i componenti della mia famigliola, i corsi si abilitazione , le certificazioni, le autorizzazioni, le formalità , le pratiche burocratiche. Non vi sto a dire … E venne il giorno !!
Venne l’impresa di manutenzione, apri’ le saracinesche . La mia emozione era al massimo. Sembravo un bambino in attesa di scartare i regali di natale. Con qualche cigolio, le saracinesche erano arrivati a fine corsa e i primi bagliori di luce stavano penetrando nella oscurità dei locali. Rimanemmo tutti impietriti : vedemmo dentro , totalmente INTATTI , come se fossero stati lasciati pochi minuti prima : bancone da bar, completamente allestito , macchina del caffè, frigo e congelatori, angolo cucina con canna fumaria, piastre per riscaldare, tavoli, sedie, scaffalature, vecchie insegne di bevande analcoliche, di vermouth, di birra , merendine impolverate , uova di pasqua ormai liquefatte, panettoni dalla cui confezione emergevano oscuri organismi animali non classificabili, bottiglie di gazzose con la pallina dentro.. Insomma, un vero e proprio bar completo di tutto che attendeva solo di avere una bella ripulita e poteva essere riattivato dopo breve ma intenso lavoro !! Rimanemmo tutti stupiti a quella vista . Era come se ci fossimo introdotti in una piramide di Egitto, in un loculo di Pompei, in una civiltà Atzeca. Tutto era in ordine, al posto giusto, la cassa ripiena di carte e vecchie bollette, il bancone in marmo lucido e pronto per accogliere clienti, la cucina idonea per preparare pasti veloci, lo stanzino per i collaboratori pronto con i suoi armadietti per il cambio , i bagni dalla rubinetteria e dai sanitari ineccepibili.
Sembrava ancora di sentire il vociare dei clienti, il dolce borbottio della macchina del caffè, gli avvisi dalla cucina che gli spaghetti al dente erano pronti, le richieste dei tabagisti di quelle sigarette nazionali senza filtro. Insomma, un sogno !
Superato con difficoltà lo stupore iniziale, entrammo con delicatezza negli ampi locali e , girando intorno al bancone, il nostro sguardo venne catturato da una lavagna caduta per terra. La raccogliemmo e tolto il primo strato superficiale di polvere accumulatosi negli anni , incominciammo a leggere …
” Oggi, 12 aprile 2010 , è l’ultimo giorno di apertura del bar “SubitoCafè”. Dopo tanti anni di lavoro e gli ultimi tre di enormi sacrifici, in cui le nostre piccole risorse economiche e personali sono state prosciugate, siamo costretti a lasciare . Alla clientela affezionata, alle numerose persone che hanno almeno per una volta acquistato un pacchetto di sigarette , giocato al totocalcio, assaporato un buon caffè, riso delle nostre battute, goduto della nostra affabilità, diciamo grazie per averci sostenuto e grazie per avervi conosciuto. Il mondo là fuori è cattivo , mentre nel nostro bar si respirava aria di solidarietà e di bune maniere . Il mondo là fuori è perfido e dedito al profitto, mentre nel nostro bar l’accoglienza ed il sorriso erano di casa. E tenevamo anche conto dei “Caffè sospesi” che qualche cliente pagava per qualche povero cristo che non se lo poteva permettere. Il mondo là fuori è arrogante e insensibile . Lasciamo perchè la nostra compagnia petrolifera non ci fà piu’ vivere, perchè pretende sempre piu’ affitti inaccettabili e importi non sostenibili. Addio “.
Capimmo cosa era successo . E capimmo anche la grande dignità di quel gestore che aveva resistito fino all’ultimo, con la sua famigliola, con i suoi collaboratori, ma era fallito non già per sua colpa, ma per l’esosità della “sua” compagnia petrolifera. Sempre meno petrolifera, sempre piu’ avida.
Fu’ un attimo : invitai l’impresa di manutenzione a richiudere quelle vecchie saracinesche, strappai le 43 pagine di proposta di contratto che il mio addetto rete mi aveva lasciato nel chiosco, chiusi gli occhi, immaginando quel mondo che non c’era piu’, la giovane e bella cassiera, le montagne di cioccolatini e caramelle, il profumo dei cornetti, il gusto del latte tiepido, il tavolino dove mio padre mi faceva sedere da piccolo. Meglio rimanere a vendere benzina . Il bar del futuro, con i suoi franchising o come diavolo si chiamavano, con i cornetti surgelati, con le bibite pagate a caro prezzo, con le cifre improponibili che avrei dovuto pagare ogni trimestre anticipato, se lo gestissero loro. Rischiavo di rimetterci anche quei pochi soldi che riuscivo a guadagnare dalla benzina.
Di poco si vive, di niente si muore.
Che se li gestiscano loro, gli splendidi bar, assieme agli impianti di distribuzione dei carburanti che stanno facendo la stessa fine del bar del racconto.