Il caos dell’IRBA: l’imposta regionale sulla benzina per autotrazione tra controversie e incertezze

La situazione dell’Imposta Regionale sulla Benzina per Autotrazione (IRBA) si fa sempre più intricata. Questa accisa regionale, istituita dall’art. 1 della L 158/1990, è stata abolita nel 2020 a seguito di un procedimento sanzionatorio da parte dell’ccc. Tuttavia, le conseguenze di tale decisione continuano a creare confusione tra gli operatori del settore e a generare contenziosi legali.

L’abolizione dell’IRBA e le sue conseguenze
L’IRBA è stata oggetto di una procedura sanzionatoria nel 2018 da parte della UE in quanto contraria alla normativa europea sulle imposte. Per evitare sanzioni, il legislatore italiano ha soppresso l’imposta con l’art. 1 co. 628 della L. 178/20 (cd L. di Bilancio), cercando però di salvaguardare gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte.

L’intento del legislatore italiano era quello di evitare ricorsi dei gestori che, con l’abrogazione dell’accisa, avrebbero potuto richiedere il rimborso dell’IRBA versata. Tuttavia, questo provvedimento non ha sortito gli effetti sperati, creando incertezza e disorientamento tra gli operatori di un settore già gravato da molteplici tasse e balzelli.

Contenziosi legali in corso
Nel corso del 2022, si sono aperti diversi contenziosi, in particolare presso le Commissioni Tributarie di Torino e Roma. Tuttavia, questi procedimenti si sono conclusi con il rigetto delle domande di restituzione dell’accisa versata.

La Commissione Tributaria di Torino, nel mese di settembre, ha respinto il ricorso di un gestore, sostenendo che l’unico soggetto legittimato a richiedere il rimborso dell’IRBA è il consumatore finale. Questo perché, secondo la tesi della commissione, l’accisa si aggiunge al prezzo finale del prodotto e viene versata dal cliente al gestore, che poi la liquida alla Regione di appartenenza. In sostanza, il gestore sarebbe un mero sostituto dell’imposta e dunque non avrebbe diritto alla sua restituzione.

Tuttavia, la recente sentenza n. 6858 del 7 marzo 2023 della Corte di Cassazione ha ribadito l’incompatibilità dell’IRBA con l’ordinamento unionale, riconoscendo la legittimità e fondatezza dell’istanza di rimborso proposta da un gestore riconoscendo “non dovuta l’imposta anche per le annualità precedenti al 2021”.

Un quadro giuridico incerto
Abbiamo interessato della questione l’avv. Fabio Arcangeli del Foro di Torino, che ha patrocinato le richieste di alcuni gestori piemontesi, il quale come prima cosa suggerisce di insistere nelle domande di rimborso dell’IRBA. Tuttavia precisa che “la sentenza della Cassazione non ha superato il problema di chi avrebbe diritto al rimborso, cioè il gestore o il consumatore finale” paventando massima prudenza nella gestione del contenzioso.

In questa situazione di schizofrenia giuridica, frutto di norme nazionali non armonizzate e che paiono colpire i titolari degli impianti, dichiara Arcangeli, non si può – ancora una volta – non stigmatizzare il legislatore nazionale che pare disinteressarsi completamente delle sorti dei 10.000 gestori presenti sul territorio già pesantemente colpiti dalla crisi del settore, senza una visione d’insieme che ne solidifichi ruolo ed aspettative economiche.

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