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Staffetta Quotidiana, esiste ancora una “rete”?

A margine della vendita del pacchetto Esso

All’indomani dell’annuncio, il 13 agosto, la stampa ha salutato l’acquisizione dei mille punti vendita EG da parte di un consorzio di retisti come un “ritorno” in mani italiane del marchio Esso. Ritorno tra virgolette, visto che, per quanto la storia della Esso Italiana sia intrecciata a doppio filo con quella del nostro Paese, si tratta pur sempre della emanazione della più grande multinazionale petrolifera statunitense. Una compagnia che già da anni è ormai presente in Italia sostanzialmente solo con il marchio e i contratti di fornitura.

Sicuramente può considerarsi solo una breve parentesi la presenza dell’inglese EG in Italia. Dopo appena otto anni – di cui un paio, gli ultimi, piuttosto turbolenti – la società che fu dei fratelli Issa ha deciso di abbandonare il Paese, il cui mercato, anche per un grande retailer, era evidentemente troppo complesso o comunque non sufficientemente remunerativo.

Italianità a parte, sono diversi gli elementi da valutare per dare un giudizio sull’operazione. Su alcuni, che riguardano la transazione in sé, mancano ancora i dati: i volumi e i relativi prezzi di vendita, i terreni di proprietà e quelli in affitto (e i relativi canoni), lo stato della manutenzione, l’eventuale necessità di interventi di bonifica.

C’è tuttavia una domanda più rilevante e di prospettiva che in molti si stanno facendo in questi giorni e che implica, oltre a un giudizio sulla transazione (quando sarà compiuta) anche una riflessione più generale sulle prospettive della distribuzione carburanti in Italia. La domanda è: i 1.200 punti vendita Esso oggetto dell’acquisizione resteranno una rete? Resteranno cioè qualcosa di unitario, omogeneo, riconoscibile, o andranno a rafforzare le piccole reti locali dei cinque acquirenti consorziati? Una domanda che si allarga oltre il confine della singola operazione: si può ancora parlare di una “rete carburanti” in Italia? O la progressiva parcellizzazione della proprietà, dei marchi, degli standard, ha di fatto decretato la fine della rete in quanto tale?

I cinque consorziati che hanno acquistato la rete Esso hanno baricentri geografici grosso modo complementari. È possibile dunque pensare che il consorzio abbia una natura del tutto tattica, funzionale al completamento dell’acquisizione e alla sua copertura finanziaria, ma che poi si risolverà sostanzialmente in uno spezzatino. In questo caso, non ci sarà che il rafforzamento dei “potentati” locali nella distribuzione e sarà quindi difficile parlare di “rete” come asset unitario.

Uno degli elementi da tenere d’occhio è la fornitura del prodotto. Quando il maxi pacchetto Esso passò a EG, si parlò anche di un contratto decennale di fornitura esclusiva da Exxon. Se così è, mancherebbero un paio di anni alla scadenza del contratto. Si porrebbe allora la questione di trovare nuove fonti. E si dovrebbe scegliere tra la possibilità di continuare a farlo unitariamente o ciascuno per proprio conto. Di più: si aprirebbe la strada di una integrazione verticale con l’ascesa del gradino del trading e del supply – per non parlare della raffinazione, sullo sfondo del possibile passaggio di mano di Falconara, Trecate e Priolo. Salti evolutivi non banali, a maggior ragione in un contesto di transizione e riduzione strutturale dei consumi.

“Qui si parrà la tua nobilitate”, si potrebbe dire: è stato solo “l’affare dell’estate”, cioè l’ennesimo passo verso la progressiva parcellizzazione della rete carburanti che va avanti ormai da almeno 10-15 anni, o è possibile intravedervi un cambiamento di rotta, l’emergere di nuovi soggetti più strutturati, con prospettive di una nuova integrazione verticale? Se il consorzio manterrà una sua stabilità, non è da escludere che diventi un polo di attrazione, e l’operazione manterrebbe il suo valore strategico e simbolico.

Potrebbe addirittura aprirsi una via d’uscita originale dalla “eccezionalità italiana” nella distribuzione carburanti, nel senso di una nuova “standardizzazione” e “razionalizzazione”.

Operazione non facile, sia per un discorso dimensionale, di forza finanziaria, di strutturazione e managerializzazione delle società, ma anche perché una rete è tale se ha omogeneità, da tutti i punti di vista. Non è in altre parole solo la proprietà, la fornitura o il prezzo, ma appunto una serie di standard (e in questo la Esso è sempre stata un riferimento), di sicurezza, di servizio, di accoglienza, che sono importanti per chi viaggia molto. Un’omogeneità fatta anche di simboli e immaginario – le grandi campagne di comunicazione, la riconoscibilità del marchio – e in questo senso il passaggio di Eni dal giallo al blu rappresenta una discontinuità piuttosto radicale, in opposizione ad esempio alla continuità del marchio IP. Eni, Esso e IP: da sempre i marchi più conosciuti della rete italiana , quelli che in un certo senso ne hanno fatto una “rete”. Nel momento in cui venissero meno, rimpiazzarli sarebbe un’impresa ardua.

Per gentile concessione di Staffetta Quotidiana 

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