A quasi un anno da quella mattina che sconvolse la città, l’inchiesta sull’esplosione al deposito Eni di Calenzano continua a far emergere responsabilità e gravi falle nei sistemi di sicurezza. La Procura di Prato – secondo quanto riportato da La Nazione del 30 novembre 2025 – ha iscritto dieci persone nel registro degli indagati: tra loro ci sono dirigenti e dipendenti di Eni, oltre ai vertici della ditta esterna incaricata dei lavori. Le ipotesi di reato parlano da sole: omicidio colposo plurimo, violazioni sulle norme di sicurezza e danno ambientale.
La tragedia del 9 dicembre non ha lasciato solo macerie e dolore, ma soprattutto domande. Come sia stato possibile che un intervento di manutenzione si trasformasse in un inferno di fiamme resta alla base del lavoro investigativo. Secondo le ricostruzioni, gli operai stavano svitando una valvola nella zona della pensilina quando un getto improvviso di benzina si è riversato all’esterno. Sono bastati meno di trenta secondi perché una scintilla — probabilmente generata dal motore di un carrello elevatore parcheggiato poco lontano — accendesse il rogo. Una procedura che, come sottolineano le carte dell’inchiesta, non era prevista dal progettista e non avrebbe dovuto svolgersi né in quel punto né in quelle condizioni.
Cinque uomini non sono tornati a casa: tre autotrasportatori e due operai. Una trentina i feriti, aziende e abitazioni danneggiate nel raggio di centinaia di metri. Troppo per parlare di fatalità, troppo per non interrogarsi sulle misure di prevenzione che avrebbero dovuto impedire ciò che invece si è consumato in pochi istanti.
La decisione di Eni di riconvertire lo stabilimento — annunciata nelle settimane successive al disastro — segna di fatto la fine delle attività tradizionali del deposito. Una scelta che da un lato appare inevitabile, dall’altro apre un nuovo capitolo per la città, con tutte le incognite che riguarda il destino dei lavoratori e delle realtà collegate a quel sito industriale. Prato resta ferita, ma vigile.
La comunità vuole risposte, pretende chiarezza e giustizia. Sul tavolo ci sono responsabilità tecniche, gestionali e forse anche culturali, quelle che si trascinano quando la sicurezza diventa una voce in fondo alla lista delle priorità. L’inchiesta farà il suo corso, e c’è da aspettarsi che altri dettagli emergano presto. Perché una tragedia simile non può finire archiviata tra le fiamme della cronaca: merita di essere compresa fino in fondo, e soprattutto che non si ripeta mai più.
