A poco più di tre settimane dalla scadenza (8 luglio) dello sconto sull’accisa introdotto lo scorso 22 marzo e prorogato a inizio maggio, le polemiche sul caro benzina tornano a surriscaldarsi, in Italia e non solo.
Il prezzo medio della verde in Italia ha superato da un po’ i due euro al litro – livello impegnativo non solo psicologicamente. La prospettiva di arrivare a 2,5 euro alla vigilia dell’esodo estivo è assolutamente da temere. Certo si può considerare di tarare gli interventi fiscali andando a selezionare le categorie che più stanno soffrendo e segmentando quindi gli “sconti”. Ma non c’è dubbio che una proroga di qualche tipo sarà inevitabile se, come sembra, le condizioni di contesto non cambieranno.
Anche perché altri tipi di intervento sembrano ancora più problematici. A partire dal ritorno ai prezzi amministrati, idea riproposta ieri dalla Fegica e definita “anacronistica e inefficace” da Unem . Nel novero delle idee quanto meno discutibili rientra di diritto lo “scontone” lanciato esattamente dieci anni fa, il 14 giugno del 2012, dall’allora amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni. Un intervento (sconto di 20 centesimi al litro su benzina e gasolio che allora costavano 1,8 e 1,7 euro/litro circa) che devastò il mercato con vendite sottocosto per tutta l’estate, rafforzando il pregiudizio sui profitti stellari di compagnie e distributori e spostando l’attenzione dei consumatori esclusivamente sul prezzo.
Nella categoria delle “soluzioni fantastiche” possiamo far rientrare anche le proposte formulate la scorsa settimana dal ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck , tra cui lo “spezzatino” degli operatori più grandi per creare più concorrenza e più poteri di controllo e sanzione all’Antitrust. Le autorità tedesche, come tutti i governi europei, sono evidentemente in grande difficoltà perché i rialzi che si susseguono sui mercati petroliferi internazionali hanno praticamente vanificato gli sconti fiscali. In particolare, Berlino vuole capire perché i prezzi di benzina e gasolio sono aumentati più dei prezzi del petrolio grezzo. La domanda non è peregrina ma ha diverse spiegazioni tecniche non proprio misteriose, a partire dal fatto che nel serbatoio dell’auto non va il petrolio ma il prodotto raffinato, che le scorte sono a un livello storicamente basso in tutto il mondo e che l’ondata di manutenzioni di raffinerie ha ridotto la capacità produttiva disponibile. C’è da sottolineare che chi scambia prodotti sui mercati internazionali trae tipicamente profitto da situazioni di turbolenza, e infatti si susseguono notizie di trader che chiedono premi mai visti prima da qualche mese a questa parte. Ma non c’è mai da dimenticare, in conclusione, che a monte del mercato petrolifero c’è un cartello, l’Opec (e l’OpecPlus), che fa per statuto quello che fanno tutti i cartelli: limitare la concorrenza. Con il risultato, per dirne una, che il petrolio saudita, la cui estrazione costa qualcosa come 5 dollari al barile, viene venduto sul mercato a 120 dollari. Chi ci guadagna, dunque?
Per gentile concessione di Staffetta Quotidiana
Tutti che parlano ,tutti che sanno e nessuno fa una minchia per risolvere il problema !!!!Ma andate a fare in c…..lo