
Su Staffetta Quotidiana la pubblicazione di una articolo molto interessante che riporta le riflessioni attente e, cosi come viene descritto dalla stessa testata giornalistica, controcorrente di Salvatore Carollo
“Assicurare al nostro paese energia a basso costo” era il principio che guidava l’azione di Enrico Mattei, scrive Salvatore Carollo in questa nuova riflessione controcorrente. Un principio di cui oggi si fa fatica a trovare traccia nel dibattito pubblico, mentre siamo ancora in attesa del piano che si fregia del suo nome. E intanto non abbiamo piani di sopravvivenza della raffinazione italiana, né idea di come ci procureremo i prodotti petroliferi di buona qualità a basso costo, né un piano affidabile per i rifornimenti di gas nel medio lungo periodo.
Dopo la Isab di Siracusa andata ad un fondo finanziario, anche la storica raffineria Saras è andata alla Vitol. Cambio di proprietà e cambio di identità. Passa da una storica famiglia di raffinatori ad una società di trading internazionale, la cui mission è sempre stata quella di acquistare greggi e prodotti petroliferi e rivenderli a prezzo più alto nei vari mercati di consumo del mondo. Nella situazione di costante mancanza di prodotti finiti (benzine, gasoli e jet fuel), disporre di una base produttiva per commercializzarli nei mercati europei ed americani è una opportunità di business incredibile per Vitol.
L’Italia perde così due pilastri del proprio sistema di approvvigionamento petrolifero.
La cosa sembra non preoccupare nessuno, né la politica né la comunità energetica. In fondo si tratta solo di petrolio, una “componente archeologica dell’energia”.
Secondo il mainstream abbiamo già girato pagina e stiamo navigando verso un futuro senza fossili.
Gli argomenti di cui si parla e che animano i dibattiti nella comunità energetica sono altri.
Ad esempio, si parla tanto del misterioso piano Mattei per l’Africa, ma pochi sembrano conoscere veramente chi fosse e cosa ha fatto Enrico Mattei per il suo paese.
Era un uomo concreto e tutte le sue scelte ed azioni erano finalizzate ad uno scopo preciso: “assicurare al nostro paese energia a basso costo”. Lo ha fatto aprendo nuovi canali di approvvigionamento sia di petrolio che di gas, creando alleanze con i vari paesi produttori in modo da favorire lo sviluppo economico ed il benessere sociale del paese.
Si è rivolto sì all’Africa (Nigeria, Libia, Egitto, Algeria, Tunisia), ma anche al Medio Oriente (Iran e Iraq) e, soprattutto, alla Russia costruendo le grandi pipeline per portare il gas in Italia (proprio nel vivo della guerra fredda) ed in Europa, scatenando le ire delle grandi compagnie petrolifere americane ed europee.
Ha incalzato le altre compagnie presenti in Italia in una corsa al ribasso dei prezzi. Lo ha potuto fare con la sua politica di investimenti massicci e la strategia di importazione di petrolio e gas a prezzi competitivi. Ha coinvolto in questo processo piccole e medie aziende nazionali, trasformandole in pilastri del nostro sistema industriale e produttivo, dando loro un profilo internazionale mai visto fino ad allora.
Era un cattolico, ma la sua politica era basata sui principi del business, non sulla carità. Era un grande manager che morì povero.
In quegli anni, l’Italia si dotò di un sistema complessivo di approvvigionamenti che da allora ci ha sempre garantito un’abbondanza di energia a prezzi bassi. Il miracolo economico fu possibile anche grazie a questo.
Purtroppo, contando su questa abbondanza, abbiamo pensato di poterci permettere di fermare la nascente industria nucleare bloccando sia le prime centrali già esistenti sia quelle in costruzione o soltanto progettate. Ci siamo permessi di fermare la produzione di gas nazionale riducendola da 21 a quasi 3 miliardi di metri cubi/anno. Che problema c’era? Avevamo il gas proveniente dalla Russia. Abbiamo fermato gli investimenti per potenziare e migliorare la tecnologia dei nostri impianti di raffinazione perché potevamo contare sulla grande disponibilità di prodotti provenienti dall’Est Europa. Ed ora ci permettiamo di vendere due delle raffinerie tecnologicamente più evolute del paese.
Il dibattito che si è sviluppato intorno a queste decisioni e, soprattutto, il dibatto sui temi ambientalisti ha sempre assunto un carattere in parte ideologico ed in parte ludico, salottiero. Non si è mai dovuto misurare con il problema della garanzia stringente dell’approvvigionamento energetico al Paese. Si è sempre dato per scontato che l’abbondanza di energia a basso costo fosse garantita quasi per un diritto storicamente acquisito.
Fortunatamente, nessuna crisi internazionale è durata tanto da farci preoccupare. Né ha mai provocato una significativa duratura riduzione della disponibilità di approvvigionamento o un rialzo insopportabile dei prezzi.
Giocare “agli ambientalisti” è diventato un hobby gratuito, privo di responsabilità verso la comunità nazionale, ma estremamente contagioso.
La parola “petrolio” è stata bandita dal linguaggio della comunità energetica, dai rapporti ufficiali delle compagnie petrolifere, dai discorsi della politica. Si è arrivati al punto che l’ultima Sen (Strategia Energetica Nazionale) elaborata a suo tempo dal ministro Calenda fu pubblicata stracciando i capitoli sugli idrocarburi ed in particolare le pagine dedicate alla produzione nazionale. Meglio stare alla larga dalle decisioni impopolari.
Eppure, il petrolio rappresenta ancora quasi il 40% dell’energia consumata nel nostro paese e non esiste un piano concreto in grado di prospettare una riduzione significativa di questi valori, ma, nello stesso tempo, non sembra essere interessante il tema della sopravvivenza della raffinazione per il tempo che sarà ancora necessario.
Il silenzio attorno a questi temi sta progressivamente rendendo più fragile il sistema energetico italiano e lo sta esponendo alla nuova criticità degli scenari internazionali ed alla costante crescita del costo dell’energia.
Esiste un modo di sensibilizzare non solo l’opinione pubblica, ma anche la politica e la comunità energetica intorno a questi temi?
Purtroppo, sembra di no. Il tema non appare sexy e non c’è una sensibilità sufficiente fra gli esperti. Nessuno vuole apparire interessato ai “temi dell’archeologia energetica”.
Si occupano tutti di energia elettrica e di normative per regolare, in modo meticoloso, inesistenti mercati liberi. Un modo per giocare ai liberali e difensori del “mercato libero”. E si trascina il mercato del gas dentro la sfera del mercato elettrico, creando confusione ed ambiguità nei meccanismi di “fissazione dei prezzi”.
Non si riflette mai sul fatto che una seria crisi internazionale spazzerebbe via questo tipo di costruzioni burocratiche di regolazione dei mercati energetici. Eppure, qualche segnale lo abbiamo ricevuto.
Le sanzioni energetiche contro la Russia, conseguenti all’invasione russa dell’Ucraina, sono state assunte nel generale convincimento che l’Europa, come pure l’Italia, possano ancora contare su una abbondanza di forniture energetiche, in eccesso rispetto alla domanda.
Senza tanti approfondimenti tecnici sulle ricadute economiche, logistiche ed ambientali sono state assunte sanzioni energetiche pesanti che hanno stravolto l’assetto degli approvvigionamenti energetici europei ed italiani in particolare. Ha prevalso, probabilmente, la convinzione (proveniente da una errata concezione del green deal) che in fondo ridurre la disponibilità di fonti fossili non solo non fosse negativo, ma magari poteva dare una spinta al loro superamento.
Solo la Germania tentò di invitare l’Europa a non interrompere i flussi di approvvigionamento del gas dalla Russia, riconoscendo che il sistema tedesco non era in grado di farne a meno. L’esplosione dei due gasdotti del North Stream è stata la risposta ai dubbi della Germania.
Per quasi due anni, si è garantita la copertura della domanda di gas attraverso soluzioni precarie di emergenza a costi elevatissimi. Ora, siamo obbligati a subire i giochi del Qatar per il sostegno ad Hamas.
Per capire meglio diamo un’occhiata ai potenziali approvvigionamenti di gas per il 2024.
Le prime proiezioni dei dati relativi al 2023 ci mostrano consumi nazionali di gas inferiori a 60 miliardi di mc, nettamente a quelli del 2021 di 76 miliardi di mc, ovvero una diminuzione di 16 miliardi di mc, pari al 21%.
Questa diminuzione è stato il risultato di due inverni miti, di una diminuzione della domanda industriale e del minor consumo da parte di chi non era in grado di pagare il prezzo troppo alto e non si è riscaldato.
In questo quadro abbiamo visto sia la diminuzione delle importazioni dall’estero (Russia) ma anche (purtroppo e contro ogni logica) il proseguimento della decrescita della produzione nazionale.
Il taglio delle importazioni dalla Russia è stato reso possibile essenzialmente da questa diminuzione dei consumi.
C’è stato un rimescolamento dei flussi dei volumi importati da vari paesi, con l’arrivo in Italia di marginali volumi di gas provenienti da paesi che, occasionalmente ed eccezionalmente (ed a costi altissimi), hanno voluto assisterci in un momento di difficoltà, ma che non possono assolutamente garantirci forniture di lungo periodo.
Fa riflettere la nuova posizione di Biden che due anni fa spingeva l’Europa a tagliare le forniture dalla Russia promettendo il gas americano. Ora, ha proibito alle compagnie americane di firmare contratti di fornitura di lungo periodo alle compagnie europee. Sono permesse solo vendite spot. Le vendite spot ovviamente servono per mettere all’asta i singoli carichi di Lng fra acquirenti europei ed asiatici, garantendo un cash flow più alto agli americani. Chi paga il prezzo più alto prende il carico. Altro che forniture strategiche dall’America e sicurezza degli approvvigionamenti per l’Europa. È anche un segnale importante della fragilità del sistema produttivo americano basato sullo shale gas, poco affidabile e precario nel lungo periodo.
Se guardiamo al rapporto produzione/riserve di gas naturale vediamo che, ad oggi, i paesi che possono garantire forniture di lungo periodo sono Qatar, Iran e soprattutto Russia.
Bisogna ricordare che i paesi Opec, ormai da 50 anni, hanno imparato a distinguere le problematiche petrolifere dalla gestione dei conflitti politici. Forse, dovremo chiederci se usare il tema del gas e del petrolio come arma politica nella vicenda ucraina, non ci abbia messo in grande contraddizione con la condanna che nel 1973 rivolgemmo ai paesi del Golfo per il loro embargo” politico” verso Israele ed i suoi alleati. Dopo 50 anni, siamo noi ad usare la stessa arma contro la Russia. Nel nuovo quadro globale, con un ruolo diverso di Opec+ e Brics allargati, questa mossa potrebbe avere per noi un effetto boomerang inaspettato.
Sarebbe ora di tornare a parlare di energia con serietà, cogliendo la potenziale drammaticità dell’attualità. Occorrerebbe abbandonare il linguaggio della propaganda ed affrontare con onestà intellettuale i temi di crisi potenziale che abbiamo davanti.
Non abbiamo nessun piano Mattei, nessun piano di sopravvivenza della raffinazione italiana, nessuna idea del come ci procureremo i prodotti petroliferi di buona qualità a basso costo, nessun piano affidabile per i rifornimenti di gas nel medio lungo periodo (a parte il ripristino dei rifornimenti russi). E non abbiamo nessuna strategia energetica nazionale.
E più grave ancora, non abbiamo nessun luogo dove di questi problemi si possa e si voglia parlare. Che Dio ce la mandi buona.
Per gentile concessione di Staffetta Quotidiana