L’organizzazione che faceva capo a una cosca calabrese aveva una serie di illeciti nel settore dei distributori e depositi di carburanti
I depositi di benzina e gasolio della Capitale, da cui dipendono gli spostamenti quotidiani di milioni di romani, erano diventati strumenti di riciclaggio e dominio mafioso. Non si tratta solo di frodi al fisco: il controllo dei depositi permetteva di influenzare l’intero mercato, con ricadute devastanti per la concorrenza e per l’intera economia locale.
Sono state eseguite stamattina dalla Guardia di Finanza su delega della Procura della Repubblica della capitale, con il supporto del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata (SCICO). Le persone coinvolte sono indagate, tra l’altro, per emissione di fatture per operazioni inesistenti, occultamento e distruzione di documenti contabili, riciclaggio, autoriciclaggio, indebita percezione di erogazioni pubbliche e trasferimento fraudolento di valori.
Sono 7 le persone finite in carcere, 12 agli arresti domiciliari e 6 con obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria: tutte le ipotesi delittuose contestate sarebbero state commesse per agevolare l’associazione di stampo ‘ndranghetistico promossa dalla cosca Mazzaferro di Marina di Gioiosa Jonica (Reggio Calabria). Contestualmente, è stato disposto anche il sequestro preventivo dei beni costituenti il profitto dei reati (quantificato in circa 7 milioni di euro) nei confronti di 5 società di capitali e 17 persone fisiche.
Il provvedimento, emesso dal G.I.P. del locale Tribunale, è l’epilogo delle indagini coordinate dalla D.D.A. ed eseguite dagli specialisti del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria (G.I.C.O.), durante le quali sono stati raccolti gravi indizi di colpevolezza nei confronti degli indagati e, in particolare, di alcuni imprenditori attivi nella Capitale nella commercializzazione di prodotti petroliferi, soprattutto carburante per autoveicoli. Il clan avrebbe operato attraverso una pluralità di imprese affidate a soggetti prestanome, allo scopo di realizzare le cosiddette “frodi carosello” all’Iva. I proventi derivanti dall’evasione venivano poi reinvestiti nel medesimo settore economico, con l’acquisto di ulteriori distributori e depositi commerciali di carburanti.