Clausola di recesso, contratti Non Oil e abuso del diritto: una sentenza di Bari riafferma le tutele dei Gestori

Il 7 gennaio scorso, il Tribunale di Bari ha pronunciato una sentenza di primo grado contro Eni di grande rilevanza per la categoria dei gestori, lanciando un messaggio chiaro: la legge deve essere rispettata da tutti, dai singoli operatori fino alle grandi compagnie petrolifere.

“Potrà sembrare una banalità” – scrivono Faib Confesercenti e Fegica nell’illustrazione dei contenuti che riportiamo integralmente – “ma tanti, forse troppi, si comportano come se potesse contare solo l’arroganza e la prepotenza”.

La sentenza ribadisce che i diritti sanciti dalle normative di settore e dagli Accordi collettivi devono essere difesi e fatti valere, anche attraverso l’intervento della magistratura, per contrastare ogni abuso e garantire condizioni eque per i gestori.

Cari colleghi tutti,
questa del Tribunale di Bari è una Sentenza che dipana una controversia di una certa complessità.
In termini generali, il primo e forse il più importante ammonimento che emerge è che tutti -fosse il più modesto tra i Gestori o la più potente tra le compagnie petrolifere debbono sforzarsi di rispettare la Legge.

Potrà apparire una banalità, ma tanti, forse troppi, sia tra noi Gestori, che dentro le compagnie petrolifere si comportano, da posizioni diverse, come se così non fosse e potesse contare solo l’arroganza e la prepotenza.

E, tuttavia, perché i diritti e le facoltà che sono contenute nelle leggi e, nel nostro caso, negli Accordi sottoscritti a termini di legge, possano essere fatti valere, debbono sempre essere difesi e rivendicati dal singolo e dalla categoria. In modo tale che, quando a volte si renda necessario, si possa richiedere al Giudice di intervenire risolutivamente.

Venendo agli elementi più specifici, quel che risalta, dunque, nella decisione del Giudice è la piena vigenza del quadro normativo a cui noi come categoria facciamo riferimento, a cominciare dal d.lgs. 32/1998 e dalla legge 57/2001.

E, all’interno di questo, il valore normativo che assumono anche i contenuti degli Accordi collettivi, sia quelli interprofessionali (nel caso specifico l’Accordo del 23.7.1998), che quelli aziendali, proprio perché sono richiesti da quello stesso insieme di leggi sopra richiamate.

Dalla decisione del Giudice emerge chiaramente come non sia consentito a nessuno applicare Leggi, Accordi e Contratti -i secondi conseguenza delle prime- solo per le parti che sono più convenienti, ignorando le altre come se non esistessero.

Vale, nel caso particolare, per la clausola di recesso a titolo oneroso: per essere attivata non è sufficiente “volerlo”, ma deve essere rispettata anche la procedura prevista, proprio per impedire che possa essere attivata in modo abusivo.

E vale anche per le attività non oil, tutte le attività non oil, ivi comprese quelle che, nello specifico dell’azienda parte del procedimento, vengono chiamate nell’attualità “enicafè” o “enishop”: anche le condizioni economico/normative di questi contratti debbono essere ricondotte nei limiti previsti dagli Accordi collettivi interprofessionali e aziendali.

Essersi sottratta in tutti questi anni alla definizione di Accordi per le attività “non oil”, evidentemente credendo di poter, in questo modo, pretendere canoni fissi e mobili in modo arbitrario, costringe ancora oggi l’azienda in questione -e qualunque altra si trovi nella medesima situazione- a dover applicare le condizioni economiche previste dall’Accordo Interprofessionale del 1998 e, quindi, a restituire al Gestore la differenza di quanto nel frattempo ingiustamente corrisposto.

D’altra parte, un ulteriore aspetto particolarmente rilevante che spicca con chiarezza nella Sentenza di Bari è l’obbligo per entrambe le parti, nel caso specifico Gestore e azienda, secondo il quale anche le norme inserite nel Contratto debbano essere applicate sempre nel rispetto dei canoni di correttezza e buona fede, in ossequio al generale e fondamentale principio in base al quale tutti sono tenuti al dovere di non recare danno all’altrui sfera giuridica (neminem laedere).

“Il principio di correttezza e buona fede (…) esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile”. [Corte di Cassazione, ordinanza n. 9200/2021].

In altre parole, pure il diritto sancito da una previsione contrattuale deve sempre essere esercitato senza con questo che ciò possa causare una sofferenza ingiustificata all’altra parte o per ottenere obiettivi diversi da quelli stabili dall’accordo originario.

“Si ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti. Ricorrendo tali presupposti, è consentito al giudice di merito sindacare e dichiarare inefficaci gli atti compiuti in violazione del divieto di abuso del diritto, oppure condannare colui il quale ha abusato del proprio diritto al risarcimento del danno in favore della controparte contrattuale (…)”. [Corte di Cassazione, sentenza n. 20106/2009].

Infine, è bene tenere presente che la richiesta del risarcimento del danno, pur se in presenza di un abuso accertato, va sempre sostenuta con una adeguata documentazione che ne possa quantificare e provare l’entità.

E’ proprio perché il Giudice ha ritenuto non siano state sufficientemente quantificatee documentate, che una parte delle richieste di risarcimento sono state rigettate e le spese legali “di lite” sono state parzialmente suddivise tra le parti.

In conclusione, come già per quella di Torino sul contratto di appalto, di cui abbiamo scritto la scorsa settimana, anche in questo caso si tratta di una Sentenza particolarmente significativa, seppure ancora di primo grado.

Se confermata, in un eventuale appello, rappresenta una risorsa preziosa nelle mani di ciascun Gestore, soprattutto per coloro i quali gestiscono attività “non oil”, a cominciare da quelle “bar” e “shop”.

Uno strumento di cui sarà possibile servirsi in ogni momento, persino dopo la conclusione del contratto. Sempreché, nel frattempo, le aziende non comprendano, in primo luogo per il loro stesso interesse, di formare ed istruire funzionari e manager ad avere una maggiore sensibilità per il rispetto delle Regole e della Buona Fede.

Per qualsiasi necessità, ulteriori informazioni e assistenza, è possibile contattare le nostre rispettive segreterie, ai seguenti riferimenti:
FAIB Confesercenti: 0644250267; faib@confesercenti.it
FEGICA: 0676276241/2; info@fegica.it

Faib-Fegica – Comunicazione a tutti i gestori x sentenza Bari[1]

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