Quotidiano Energia – Romina Maurizi – “Rivendicazioni autoconvocati giuste, pronti al confronto ma dentro l’organizzazione”. A colloquio con il presidente di Fegica Roberto Di Vincenzo, che rivolge un appello anche all’industria oil e al Governo: “Il mercato va regolamentato, chiudere 7-8.000 impianti, non c’è più tempo. Illegalità? Non si combatte con nuovi oneri”
“Che ci sia una situazione di grande difficoltà nella categoria lo diciamo da anni”, sostenere che i “gestori hanno una condizione precaria dal punto di vista economico è quindi vero, ma il punto di vista economico non può essere esaustivo perché, come la storia recente ha dimostrato, in assenza di un sistema di regole, tutele e diritti il singolo gestore non sarebbe nelle condizioni di difendere il suo margine, anche fosse particolarmente più alto”. Il presidente di Fegica, Roberto Di Vincenzo, non si sottrae a rispondere alle critiche che i gestori cosiddetti autoconvocati muovono alle federazioni di categoria: “siamo pronti anche a mettere in discussione le nostre idee, ma il confronto va fatto all’interno dell’organizzazione, ridando forza ai corpi sociali intermedi”, dichiara in un colloquio con QE. “La partecipazione diventa essenziale. Perché -continua – anche se le lamentele sono giuste, singolarmente nessuno la scampa. Essere fuori e agitare la bandierina indicando la luna può essere mobilitante nell’immediato tuttavia non risolve il problema. Bisogna portare avanti le richieste, ragionare sulle loro conseguenze, avere responsabilità nel confrontarsi con le condizioni esistenti”.
Di Vincenzo rivendica il lavoro fatto nel tempo dai sindacati. “Questo è un settore partito tanti anni fa con contratti precari che duravano 6 mesi e dopo potevi essere messo fuori, ora sul piano dei diritti passi in avanti sono stati fatti. Poi sono arrivate le crisi, petrolifera, economica, dei consumi e anche istituzionale. Alla fine del 2014″, ricorda, “ci siamo così trovati a decidere se concorrere alla dissoluzione del settore oppure provare a fare contratti di solidarietà. Noi riteniamo di avere fatto la scelta giusta, sottoscrivendo contratti che avevano un aspetto economico certamente non entusiasmante ma una parte normativa che ha potuto restituire un minimo di certezza e continuità a questa attività. Con i contratti di solidarietà non solo è stata la ribaltata la tendenza ad una selfizzazioni integrale della rete a favore del recupero del servizio e del ruolo del gestore, ma, ad esempio, abbiamo per la prima volta potuto introdurre il concetto di margine intangibile del gestore, vale a dire non è nella disponibilità dell’azienda”.
Forse, osserva il numero uno Fegica, “siamo però arrivati un po’ tardi perché nel frattempo alcuni gestori – una parte anche di quelli che protestano oggi – in preda alla crisi e alla battaglia dei prezzi avevano autonomamente deciso di consentire alle aziende, attraverso accordi individuali ‘one to one’, di tagliare i margini dai 4,5 previsti dagli accordi collettivi, a 2,5 fino a 1,5 centesimi/litro. Abbiamo dovuto quindi fare una grande fatica per recuperare una visione collettiva e di prospettiva”.
Adesso, continua Di Vincenzo, “si apre però una seconda fase, bisogna tornare a un livello di marginalità per il gestore che sia all’interno degli accordi ma non si può più andare sotto i 55 euro/kilolitro. Le compagnie, proprio a partire dal 2015, hanno cominciato a presentare bilanci in attivo, nonostante l’illegalità dilagante, segno evidente che i contratti di solidarietà sono serviti, hanno raggiunto il loro obiettivo. Ma ora hanno esaurito il loro compito“. Per la categoria dei gestori non è insomma il momento di dividersi anzi, dichiara il presidente, “noi saremmo per una riunifìcazione delle tre federazioni, lo diciamo da anni: facciamo un coordinamento strutturale, ognuno rimane a casa sua, nelle confederazioni e sindacati di appartenenza, però le decisioni potrebbero essere così prese insieme obbedendo a logiche che nascono” nel comparto.
Di Vincenzo si rivolge anche alla propria controparte, compagnie e retisti, invitandoli a guardare avanti con la consapevolezza che “senza una grande riforma del settore” avanti però non si va, “è nell’interesse dei gestori, ma ancor di più dell’industria petrolifera e di quei retisti che non hanno come unico obiettivo quello di fare i rider. La nostra controparte”, commenta, “non ha capito di essere seduta su un barile non di petrolio ma di polvere da sparo, è un settore che può esplodere da un momento all’altro”.
Alcuni elementi essenziali della riforma che la categoria vorrebbe sono contenuti nella proposta di risoluzione M5S in dieci punti presentata nei giorni scorsi alla Camera: si va dalla razionalizzazione, alle sanzioni per le violazioni contrattuali, fino alla disciplina del sottocosto (QE 13/6). “Le enunciazioni ci trovano d’accordo, il problema è vedere – qualora venisse approvata -se il Governo si sentirà davvero impegnato ad attuarla e con quali modalità”.
La prima cosa da fare, secondo Fegica è tuttavia quella di chiudere 7-8.000 impianti. “I dati del Mef tre anni fa ci dicevano – oggi la situazione quindi sarà sicuramente peggiorata – che in Italia c’erano 5.000 impianti con un erogato fino a 300 mila litri l’anno e di questi 3.000 fino a 100 mila litri: come fanno a stare in piedi? Poi parliamo di illegalità. Ecco”, afferma Di Vincenzo, “questi impianti bisogna avere il coraggio di chiuderli, con una chiusura coatta, con indennizzo, il modo si trova ma vanno chiusi”.
Il dibattito sulla razionalizzazione si trascina in Italia da anni, la filiera petrolifera aveva anche raggiunto un accordo unitario su questo poi inserito nella Legge concorrenza. I risultati non sono tuttavia arrivati, perché questa volta dovrebbe andare meglio? “E’ vero su questo la Legge concorrenza non ha funzionato, ma la politica ci ha messo anni a recepire la nostra proposta e l’ha molto edulcorata”, replica Di Vincenzo, “questa però è una strada obbligata, il settore lo sa, il deficit è quello di capire che non c’è più tempo“. La direzione secondo Fegica altrimenti è quella del prodotto clandestino “e non possiamo mettere la Guardia di Finanza ad ogni angolo della strada. Il mercato deve essere regolato ma questo settore, come altri, ha anche bisogno che gli attori aderiscano volontariamente alle regole. Accettando culturalmente l’idea che le norme vanno rispettate, nell’interesse generale del funzionamento del sistema. Anche quelle sui contratti dei gestori e sugli accordi collettivi”.
Di Vincenzo parla di un comparto “deindustrializzato e nessuno si è posto il problema dell’uscita delle major, di barcollante sistema di raffinazione che, come la rete, avrebbe bisogno di un riassetto come fatto in Europa”. Dovrebbe essere “nell’interesse di tutti rendere più’ efficiente il settore carburanti e invece si apprezzano solo i 2 centesimi in meno sul prezzo della benzina che arrivano al pubblico”. La politica deve adesso “fare la sua parte, un Governo che ha a cuore gli interessi del Paese dovrebbe guardare oltre la contingenza e ci vorrebbe un’industria petrolifera che colga la situazione per costruire insieme una riforma, rendendosi conto che è ora di deporre le armi per questa guerra mai dichiarata ai gestori, perché senza gestori non sarebbero mai nelle condizioni né di raggiungere i propri obiettivi commerciali, né di restituire equilibrio al sistema distributivo”.
“Sette-ottomila impianti vanno chiusi”, insiste Fegica, “perché concorrono ad affrontare due questioni: illegalità e disintegrazione del settore, due facce della stessa medaglia”. Il fenomeno dell’illegalità, conclude Di Vincenzo, “non può essere risolto scaricando sui gestori qualsiasi genere di onere conseguente alle misure di contrasto che si sono prese o che stanno per essere assunte: è arrivata la fattura elettronica, arriveranno i corrispettivi elettronici, poi i Das telematici. Misure il cui benefìcio è ancora tutto da verificare nel concreto. Quanto al resto, l’impressione è che ci sia molto meno pathos ed urgenza. Ad esempio, nessuno ha posto un freno ai depositi fiscali: malgrado il loro aumento esponenziale, ora ci sono più di 1.000 domande in attesa di essere autorizzate. E ciò nonostante si possa ragionevolmente affermare che il sistema della logistica esistente sia in grado di assecondare le esigenze del mercato. Almeno di quello legale”.
Per gentile concessione di Quotidiano Energia
bla..bla…bla….se non cè + tempo allora fa in fretta xchè ha fine anno penso che restino pochissimi gestori….e allora con chi campi….la vedo dura anche x te…