La Guardia di Finanza di Napoli ha sequestrato beni per 10 milioni di euro a un imprenditore di San Giorgio a Cremano (Napoli), accusato di una maxi evasione fiscale sui carburanti tramite società cartiera. Sotto chiave il “tesoro”: Ferrari, Porsche e motocicli d’epoca, custoditi in un garage di tre piani.
Un parcheggio interrato di tre piani zeppo di Ferrari, Porsche, Vespe d’epoca, pure una Topolino degli anni ’50. Oltre ad altri beni di lusso, tra cui una decina di orologi Rolex. Eccolo qui, il tesoro dell'”Emiro vesuviano”, tutto intestato a vari prestanome e sequestrato dalla Guardia di Finanza: tutto acquistato evadendo l’Iva sulla vendita di carburanti, con false fatturazioni e società cartiere che gli permettevano di tagliare i costi e rivendere a prezzi così bassi da sbaragliare la concorrenza: in quattro anni il volume di affari si è quasi triplicato, passando da 56 a 139 milioni di euro.
Al centro dell’operazione del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Napoli, coordinato dalla Procura della Repubblica di Nola, la figura di Giuseppe Paparo, imprenditore di San Giorgio a Cremano (Napoli), finito ieri agli arresti domiciliari contestualmente al sequestro dei beni che, seppur intestati a prestanomi vari, le fiamme gialle hanno appurato essere tutti nelle sue disponibilità. Negli ultimi anni avrebbe dichiarato costi inesistenti per 44 milioni di euro ed evaso 10 milioni di euro di imposte.
Secondo quanto accertato dalla Guardia di Finanza, la truffa si basava su società cartiere, che acquistavano il carburante dai grossi fornitori, anche dalle multinazionali, nel circuito agevolato che permette di non pagare l’Iva in caso di commercializzazione all’estero. Il prodotto però veniva venduto alla Pa.Gi. Carburanti srl, di proprietà di Paparo, che lo acquistava aggirando l’Iva e a un prezzo non solo inferiore a quello praticato verso tutti i concorrenti, ma talvolta anche più basso del platts, ovvero la quotazione della benzina sul mercato internazionale.
Il carburante a questo punto veniva rivenduto ancora una volta, ad altre società sempre riconducibili all’imprenditore: una lo vendeva ai vari clienti (grossi depositi e società di trasporto, ma anche pompe di benzina, nazionali e campani), l’altra, come ulteriore passaggio, a una società cartiera che successivamente lo smistava.
In questo modo la società aveva guadagnato una posizione predominante sul mercato, quasi di monopolio, accaparrandosi una grossa fetta del mercato regionale e di quello nazionale e tagliando fuori dal commercio chi, al contrario, era costretto a praticare prezzi più alti dovendo considerare anche l’Iva.