
La vicenda che oggi viene raccontata dal giornale Il Foglio, in una articolo dal titolo “la pelle dell’URSO”, vede la narrazione del giorno in cui la nostra categoria è stata interessata dalla smania di protagonismo di un Ministro con il solo intento di “brillare agli occhi del suo capo”… Complice una vicenda ancora più triste (e vergognosa) il tradimento degli interessi e delle prerogative di una intera categoria da parte di una delle sigle cosiddette più rappresentantive, che proprio in quel giorno e inspiegabilmente rompe il fronte sindacale annunciando di ridurre autonomamente lo sciopero da 48 a 24 ore.
La storia e i retroscena vengono raccontanti dall’articolo che ci da la misura di come un ministro ed il suo governo abbia cercato ( e stia cercando) in tutti i modi di delegittimare e distruggere una cateogria e la sua legittima protesta. Accordi sottobanco, gogna mediatica, santa inquisizione delle forze dell’ordiene e chissà cos’altro.
Una categoria che ha avuto il solo dovere di rivendicare la sua verità (confermata da tutti, nemici compresi), tacciata di speculazione, additata di tale nefandezza perchè un governo di gente poco seria doveva coprire il rialzo dei prezzi dato dal ripristino delle accise. Governo che ha scatenato la finanza sugli impianti e sanzionato i gestori misurando addirittura l’altezza dei numeri dei prezzi. Per non parlare del vergognoso, inutile e dannoso (confermato anche dal parere dell’antitrust) decreto trasparenza.
Pensare che a tutto questo ci sia stata la posizione “morbida” e compromessa di una federazione dei benzinai fa letteralmente schifo. Chi siede al suo vertice dovrebbe avere almeno il buon gusto e la decenza di chiedere scusa ad una intera categoria.
La pelle dell’URSO – di Carmelo Caruso – Il Foglio 01 febbraio 2023
Roma. Quanto può essere pericolosa la smania di un ministro? Cosa è pronto a fare per brillare agli occhi del suo capo? L’episodio simbolo dei cento giorni del governo Meloni ha come protagonista Adolfo Urso, ministro del Mimit. imprese e Made in Italy. Dietro le dimissioni del suo capo di segreteria particolare (le ha rassegnate ieri) si nasconde infatti una tecnica di potere, la fragilità della dirigenza di Fdl, la paura e l’ansia di un governo.
Urso Vende a Meloni l’accordo che non c’è e urla allo staff “Traditori”
La notizia che Valentina Colucci, capo della segreteria particolare del ministro Urso, stia per lasciare il ministero, dimettersi, si diffonde lunedì mattina. Non è un’uscita concordata ma causata da un litigio violentissimo tra Urso e il suo staff. Si consuma tra il 23 e il 24 gennaio, giorni in cui esplode lo sciopero benzina, primo grande inciampo comunicativo del governo. Urso vuole consegnare alla premier un “trofeo”. E’ convinto di poter scongiurare la protesta e di aver chiuso un accordo con i benzinai. E’ cosi sicuro da chiamare la premier, in visita ad Algeri, e comunicarle che “è fatta”. Vengono allertate le tv per dare la notizia al Tg delle 20. L’intesa in realtà è solo con una sigla. Le altre si oppongono. L’accordo non c’è mai stato. Urso si sfoga con i suoi collaboratori, minaccia “provvedimenti disciplinari”. Li accusa di slealtà. Il racconto comincia da quel momento. La scena si svolge in Via Veneto, sede del ministero delle imprese e del Made In Italy. Meloni per quell’incarico ha scelto Urso, un ministro competente, uno dei dirigenti di FdI con maggiore storia politica, già presidente del Copasir. Quando Urso si insedia teme che il suo volto sia poco conosciuto rispetto a quello di Lollobrigida, Crosetto, Fitto, i più noti del partito. Comincia a rilasciare interviste (il ritmo è altissimo) e cerca di avvalersi di un portavoce. Forma presto la sua squadra. Sceglie come capo di gabinetto Federico Eichberg e Co-lucci, capo della sua segreteria particolare. Chiede a Gerardo Pelosi, già firma economica del Sole 24 Ore, e oggi in pensione, di aiutarlo sulla comunicazione. Urso completa il suo staff con Mario Ciampi, capo della segreteria tecnica. Fare il ministro delle Imprese e del Made in Italy significa gestire “crisi aziendali” e lavorare in coppia con il ministro del Lavoro. A Urso manca una spalla. La collega Marina Elvira Calderone, docente e “tecnica”, viene travolta dal dibattito sul Reddito di cittadinanza che si trascina per settimane ed è affiancata da Claudio Durigon, un leghista che riesce a essere presente sui giornali. Urso soffre. E’ chiamato a “coprire” anche la parte della Calderone e comincia a mettere sotto pressione lo staff. Chi lavora al ministero parla di “un clima di terrore e angoscia”. La protesta dei benzinai, il malessere di Meloni fanno il resto. Urso coltiva una simpatia con la Faib, la sigla dei benzinai più dialogante ed è convinto che questo basti a scongiurare lo sciopero. Restano da convincere le altre, Figisc e Fegica. E’ il 24 gennaio pomeriggio. Il ministro convoca le sigle. Le fa chiamare alle 14,40 per un tavolo che si tiene alle 15. Telefona a Meloni per “vendere” questo successo: “E’ fatta”. Il capo di gabinetto si mobilita, il portavoce fa altrettanto: “Forza, chiama i giornalisti” dice uno. L’altro avvisa i colleghi: “Ci potrebbe essere una notizia, preparatevi”. Chi passa in quella stanza, dove si svolge tutta la scena, si renderà conto, solo dopo, di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Tra quelle persone c’è Colucci, una professionista che ha lavorato con ben otto ministri, l’ultimo è stato Federico D’Incà. La notizia dell’accordo “fatto” arriva alle sigle più combattive. Comprendono che Urso aveva dato per chiuso qualcosa che non era stato ancora negoziato con loro. L’accordo non c’è. Meloni si infuria, Urso scarica la rabbia. Crede che i suoi collaboratori lo abbiano tradito anticipando la notizia. Pronuncia parole irriferibili contro di loro. Ansia e cattiva gestione si trasformano così in un processo sommario. I collaboratori, tra questi Colucci e Pelosi, chiedono al ministro di riflettere. Senza fiducia non proseguono. La lite al ministero diventa di dominio e viene confermata. Urso viene scavalcato dagli eventi. Cerca una via d’uscita. A Pelosi viene proposto di occuparsi del ministero e di affiancare il sottosegretario Valentino Valentini. Colucci non accetta nessun’altra proposta e decide di formalizzare le dimissioni. La morale? Non c’era stata nessuna fuga di notizie ma solo fretta di vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso. Quanto raccontato diventa l’apologo di questo tempo e del governo Meloni. Il titolo è “La pelle dell’Urso”.
e… come disse Emilio Fede...che figura di m….a !