L’associazione dei gestori aderente a Confocommercio approfondisce – in un articolo – le argomentazioni del Ministro “senza alcun intento di natura polemica” ma con la giusta considerazione dei numeri e della storia che ha caratterizzato il settore.
Se si parla di “scambio” concordato (riordino vs/ trasparenza), scrive la Figisc, ” è opportuno osservare che le cose non sono esattamente andate in questi termini: all’indebita criminalizzazione di una categoria, la medesima ha risposto sollecitando il Governo ad occuparsi di questioni ben più consistenti e meno mediatiche (ossia il contrasto all’illegalità, riordino e ristrutturazione), quali fattori qualificanti di interesse generale di consumatori ed operatori. Se di scambio si vuol parlare, diciamo che esso è stato semmai subìto dalla categoria, non concordato.”
Circa l’asserito principio guida della Germania, la federazione dei Gestori ricorda “lo stato dell’arte: a metà degli anni Settanta del secolo che fu, la Germania contava 42mila impianti, la Francia 44mila, l’Italia 40mila ed il Regno Unito 33mila. Nel 1998, ossia circa venticinque anni dopo, la Germania aveva già chiuso il 60,5 % degli impianti (scendendo a 16,6mila), la Francia il 61,1 (scesa a 17,1mila), il Regno Unito il 58,8 % (sceso a 13,6 mila) e l’Italia il 36,5 % (scesa a 25,4mila).”
Dopo altri venticinque anni, continua l’associazione, “ossia dal 1998 ad oggi, la Germania ha chiuso un altro 13,3 % della rete (-11,4 % dal 1998 al 2010, -2,0 % dal 2010 ad oggi, quando conta 14,4mila punti vendita); la Francia ne ha chiuso un altro 34,5 % (-29,5 % dal 1998 al 2010, -7,1 % dal 2010 ad oggi, in cui conta 11,2mila impianti); il Regno Unito un ulteriore 38,2 % (-34,6 % dal 1998 al 2010, -5,6 % dal 2010 ad oggi, contando infine 8,4mila distributori). Dal canto suo, l’Italia dal 1998 ad oggi ha chiuso un ulteriore 14,6 %, con un -9,8 % dal 1998 al 2010 ed un -5,2 % dal 2010 ad oggi, quando conta (con il beneficio del dubbio sull’effettiva consistenza della rete, viste le discrasie tra i vari enti che ne certificano il numero) circa 21,7mila punti vendita.
Ciò che vuole precisare la Figisc, ” è che tutti i Paesi “modello” – diciamo così – hanno ristrutturato massicciamente la propria rete quasi in misura integrale ancor prima del 2010, mentre in Italia il processo è stato meno rilevante e più lento (-1,2mila impianti dal 2010). Questo ha avuto ovvie conseguenze sul piano dell’efficienza, sostenibilità economica, qualità della rete distributiva, con una progressiva obsolescenza della stessa e la caduta degli investimenti. Che di botto si chiudano ora più di 7mila impianti è tutto da vedere.”
Infine, la federazione fa una precisazione sull’efficacia del decreto Trasparenza in termini di calo dei prezzi.
“Il decreto in oggetto, scrive, è stato pubblicato in G.U. il 14.01.2023. Il 15 gennaio il livello dei prezzi nazionali medi era così: benzina self 1,818 euro/litro, servito 1,970, gasolio self 1,869, servito 2,021; al 25 giugno invece tali erano i prezzi: benzina self 1,856 euro/litro, servito 2,005, gasolio self 1,696, servito 1,850; se si fa la differenza, ieri la benzina costava fra 3,5 e 3,8 cent in più del 15 gennaio, il gasolio fra 17,1 e 17,3 in meno; se si calcola la media in base ai consumi dei due prodotti, si può dire che il prezzo medio nazionale è inferiore ad allora di 0,100 euro/litro. Nello stesso intervallo di tempo, la quotazione Platt’s ivata della benzina è lievemente salita da 0,704 a 0,711 euro/litro (+0,007) e quella del gasolio è significativamente scesa da 0,875 a 0,719 (-0,156 euro/litro); anche in questo caso, se si calcola la media in base ai consumi dei due prodotti, si può dire che la quotazione Platt’s è inferiore ad allora di 0,100 euro/litro. I due aspetti “fanno scopa”, ossia la diminuzione del prezzo è esattamente speculare alla riduzione delle quotazioni internazionali del prodotto raffinato. O, in altri termini più crudi, il decreto Trasparenza c’entra ben poco!”