Nell’ultimo numero di Controdistribuzione, il periodico dedicato all’informazione sindacale della Fegica, viene fatta una vera e propria fotografia sui resti logori della distribuzione carburanti. L’iniziale slancio imprenditoriale di un settore strategico si è lentamente trasformato in un confronto serrato, quasi tragicomico, dove le battaglie non sono più a favore della crescita e dell’innovazione, ma rivolte verso un riflesso distorto: un conflitto intestino in cui si cerca di riaffermare la supremazia su chi, in passato, ha contribuito in modo cruciale al successo del sistema stesso, ovvero, il Gestore. Con risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
Oggi assistiamo all’ultimo atto di una gestione del settore ormai priva di visione, che si aggrappa disperatamente a contratti di appalto, strumento estremo di affermazione di un potere che si sgretola inesorabilmente. E come spesso accade nelle fasi di declino, quando il “tiranno” tenta di riaffermare la propria autorità, il contesto circostante diventa un muto spettatore dell’agonia.
Sono “mala tempora”, quelli che attraversiamo; un’epoca difficile e densa di sfide, dove la “pioggia” delle politiche miopi e incerte non smette di cadere, evocata da apprendisti stregoni incapaci di fermarla.
Buona lettura.
I RESTI, MALCONCI, DI QUELLA CHE FU LA CORAZZATA PETROLIFERA
Un passato (glorioso) svenduto per battaglie (?) epocali contro se stessa (ed i gestori). una scelta (suicida) utile solo a raccattare qualche contratto di appalto per riaffermare “chi comanda”.
Come sempre accade al tramonto delle dittature, il tiranno prova a riaffermare, incurante del contesto che lo circonda, un potere ormai logorato dall’ignavia e da scelte riposte nelle mani di apprendisti stregoni, capaci solo ad evocare la pioggia, ma non in grado di fermarla.
mala tempora…
Mala tempora currunt -dicevano i latini- per rappresentare le difficoltà del momento storico. Oggi potremmo usare la stessa espressione per dipingere, sul muro dell’indifferenza, un affresco contenente le vicissitudini del nostro settore. Allo stesso modo di un cantastorie che racconta, per immagini, il percorso della sua terra.
Sta di fatto che nel nostro Paese, in poco più di un decennio, è stata cancellato quasi un secolo di storia del nostro settore (perché, sia chiaro a tutti, il settore è anche il nostro, considerato che l’abbiamo costruito con fatica e sacrifici, sporcandoci le mani ogni giorno per 16 ore). Il tutto nell’indifferenza dei Governi (qualunque ispirazione abbiano avuto) che hanno sempre più badato ad incassare l’Imposta di Fabbricazione (oggi Accisa) che porre attenzione alle politiche di sviluppo, di investimenti, di occupazione di interventi nel sociale. Tutti alla finestra a guardare il dissolvimento di un settore strategico (ed ancora tale per almeno i prossimi tre decenni), senza muovere un dito. Così, in nome di una “liberalizzazione alla carta” grandi operatori industriali hanno preso la via del disimpegno, lasciando, sul terreno macerie e “quattro pezzi di ferro” utili -nella scomposizione della rete- a fruttare ancora qualche milione di €uro destinato a diventare pura rendita. In mezzo a questo che, in epoca non sospetta (prima della pandemia) avevamo indicato come l’ultimo assalto alla diligenza, per aumentare i profit (a scapito dei consumatori) si è fatto ricorso, su larga scala, all’introduzione di contratti-atipici, di appalto.
Contratti non previsti da alcuna Legge di settore ma consentit dall’indifferenza dei Governi e dalla cattiva volontà di Enti pubblici e privati preposti al controllo delle violazioni sul lavoro che, pilatescamente, hanno preferito, di fronte alle nostre insistite e reiterate segnalazioni, lavarsi le mani piuttosto che intervenire.
L’obiettivo ipocritamente dichiarato dalle compagnie è che tali strumenti atipici (appalti) sarebbero indispensabili per sanare quella che è stata definita -da improvvisati strateghi della Domenica- la rigidità contrattuale. Eppure quelle tutele che oggi si vorrebbero superare, sono state inserite e ripetutamente confermate dal Parlamento nel corpus legislativo a tutela dei Gestori: norme che impediscono alle Compagnie ed ai Titolari di Impianto di “abusare” dello stato di “sudditanza” dei Gestori che sono costretti ad acquistare, in esclusiva, il prodotto dal fornitore ed a rivenderlo al prezzo indicato dallo stesso. Alla faccia della libertà di impresa! Ma questo, evidentemente, non è ancora sufficiente e le garanzie contrattuali volute dalla Legge sono continuamente aggirate. In buona sostanza l’intento delle compagnie è quello di cambiare -di forza- il rapporto giuridico con i Gestori utilizzando una migrazione coatta dal Contratto di Affidamento in uso gratuito (con il suo sistema di tutele) a quello di “appalto” improntato alla precarietà e senza alcun diritto. Un “contratto di appalto” che potrà essere rinnovato dal Titolare del “pezzo di carta” per brevi periodi sempre che il suo capriccio lo porti a valutare -senza alcuna possibilità di ricorrere alla Legge- se sia di suo interesse mantenere o meno questo rapporto contro natura con l’Appaltista. E’ davvero questo che vogliono Governo e Parlamento?
Abbiamo qualche difficoltà a crederlo! Insomma, il settore percorre a ritroso la storia e, come accadeva prima del 1970, il potere discrezionale e disciplinare del titolare dell’impianto tornerà a farla da padrone. Ed i Gestori saranno costretti, prima di ogni altra cosa, ad obbedire a soggetti che, il più delle volte, non sanno neppure di cosa parlano. Stanno tornando di moda le contestazioni per aver chiuso 10 minuti prima l’impianto (senza considerare che, spesso, avviene l’inverso, senza alcuna valorizzazione del lavoro aggiuntivo); per aver “venduto” un prodotto non oggetto di esclusiva (come l’AD Blue) di provenienza diversa da quella aziendale, ecc.; per non aver seguito alla lettera le disposizioni -spesso contraddittorie- di questo o quell’addetto rete (che una volta, con mirabile sintesi, veniva definito “scagnozzo”); per non aver accettato quel potere disciplinare (in primis l’obbedienza) che i Titolari rivendicano come una propria, indiscutibile, prerogativa. Un arretramento complessivo promosso da chi, privo di strategia, non è capace di guardare al futuro e pensa che con la “repressione”, cieca e belluina, piuttosto che con argomentazioni, logiche e contrattazione, sarà più facile ottenere il risultato. Con ciò confermando il vecchio adagio che la madre degli sciocchi è sempre incinta!
Ma sapendo bene quale rischi potrebbero correre, compagnie petrolifere e titolari di impianti hanno scoperto una nuova frontiera: hanno inventato “società schermo” (partecipate al 100%), cui affidano centinaia di gestioni con contratto di affidamento in uso gratuito (tanto per aggirare la norma): società che, a loro volta, stipulano contratti di appalto che sono palesemente contro la Legge e che aggirano la norma sul lavoro dipendente per le caratteristiche delle prestazioni (e sanzioni) che vengono richieste. Il loro “ingenuo” (?) calcolo è che, nel caso di sanzionamento, l’obiettivo sarà la società di intermediazione (che può essere liquidata in ogni momento) e non già il soggetto che si è avvalso della prestazione (Titolare dell’impianto). In questa loro “costruzione domestica”, finiscono per darsi ragione fra di loro e vantarsi della loro astuzia.
Ma dimenticano che c’è anche una normativa europea che, in tema di concorrenza, rende almeno problematico (se non impossibile) che un fornitore in esclusiva (Titolare dell’impianto) che rivende ad un soggetto (Gestore) a sua volta obbligato ad acquistare in esclusiva- possa scendere direttamente al pubblico, nello stesso bacino di utenza e fare concorrenza all’acquirente medesimo (Gestore). Ciò come conseguenza della differenza di prerogative, di mezzi e strumenti che i due soggetti hanno a disposizione in un mercato controllato, di fatto, dalle scelte del Titolare.
Nelle more dei pronunciamenti dell’Autorità Giudiziaria e degli interventi che in sede europea potranno essere effettuati, quello che stupisce è il silenzio assordante dell’Antitrust che dovrebbe vigilare sulla corretta applicazione delle norme poste a tutela della concorrenza all’interno dello stesso marchio (intra-brand). E il silenzio dell’Antitrust si allinea a quello dell’Ispettorato del Lavoro e degli organismi preposti al controllo, ripetutamente sollecitati. La considerazione dalla quale chiunque abbia onestà intellettuale non può esimersi è che questo settore, per manifesta incapacità di chi è chiamato, attivamente, a svolgere un ruolo da interprete, è ormai alla deriva.
Un settore prigioniero di qualche incapace dirigente animato più da pulsioni personali che da effettiva capacità di orientare le scelte strategiche. Una parodia sfocata di un Napoleone da barzelletta che potrebbe dedicarsi ad altre attività (forse meno remunerative ma anche meno esposte al rischio di fare danni).
Al di là dei lustrini che caratterizzano ogni sua uscita pubblica; al di là della roboante comunicazione dell’industria petrolifera e dei Titolari di impianto dietro la quale c’è il vuoto pneumatico, il settore sta progressivamente spegnendosi. E, come spesso accede in queste circostanze, ci sono tanti corvi che gracchiano e tanti avvoltoi pronti a spolpare ciò che è rimasto di quel settore che era un fore all’occhiello dell’Italia. Ma se l’industria petrolifera ed i suoi emuli hanno le gravissime responsabilità che abbiamo appena enunciato, la Politica non può e non deve abdicare al suo ruolo.
Anche qui: il vecchio giochetto che va in scena da tempi immemorabile con il quale l’industria petrolifera vestendo i panni del suggeritore (senza sapere quale opera teatrale si sta rappresentando) cerca di “convincere” il Legislatore della bontà delle sue “trovate”, è ormai alla luce del sole. Non si capisce, diversamente, come i desiderata di questa o quella compagnia (sarebbe più semplice dire di una compagnia ma, per carità di Patria omettiamo -al momento- un’indicazione più precisa) trovino sempre riscontro nei testi che, in questi mesi, si sono rincorsi e sono stati presentati alle Organizzazioni di Categoria dei Gestori. Più esprimiamo contrarietà e criticità, più ci vengono recapitate -senza interlocuzione- ipotesi con gli stessi contenuti (anche se con linguaggio diverso). Con un atteggiamento “sornione” della nostra controparte che alle nostre rimostranze, fa finta di essere sorpresa.
In questa situazione nella quale si fa fatica a sollevare i piedi dalla melassa, dobbiamo -con la stessa onestà intellettuale che ci ha portato a contrapporci al Governo- dare atto alla Presidenza del Consiglio di aver bloccato, poco prima dell’approvazione del un testo di DDL che noi consideriamo “scellerato”, la sua approvazione, per un “supplemento di approfondimento”. Ciò non significa, però, che le solite manine negli anfratti burocratici non tentino ed abbiamo tentato di riproporre quello schema che segna la fine dei Gestori (a vantaggio di Compagnie e Titolari) con una nonchalance degna di altre fortune. Il 14 Novembre, alle 11.00’, i gruppi dirigenti di Faib-Fegica e Figisc/Anisa si ritroveranno a Roma (Hotel Nazionale a Piazza Montecitorio) per definire azioni sindacali e giudiziarie nei confronti delle Compagnie e per richiamare l’attenzione del Parlamento sul fatto che i petrolieri ed i loro sodali, nel silenzio, stanno facendo strame di una legislazione speciale che il Parlamento stesso ha voluto e riconfermato.
Certo, così non si può andare avanti: l’industria petrolifera si deve rendere conto che le “aperture” in termini di flessibilità contrattuale e di introduzione di nuove formule contrattuali contrattate fra le Parti, come la Legge prescrive, non possono essere scambiate per una resa di una Categoria ma devono essere lette come il generoso tentativo di offrire una soluzione al problema. Una Categoria, quella dei Gestori che, invece, ha ancora la voglia di misurarsi con una controparte che è, sì, più forte ma ha, come abbiamo cercato di chiarire, i piedi d’argilla.
Nel lungo post che ho appena finito di leggere è molto esaustivo e completo e credo che non ci sia nient’altro da aggiungere in quanto l’analisi è molto chiara e tocca tutti i punti chiave della attuale situazione e che nei post precedenti si è discusso ampiamente…ma vorrei soltanto aggiungere una piccola postilla e che se siamo arrivati a questo punto le colpe vanno suddivise in tutti soggetti che fanno parte della categoria, a cominciare da noi gestori e non me ne vogliano i colleghi in quanto noi abbiamo le nostre colpe dovute ad un certo rilassamento e sapete bene cosa intendo???? e adesso si raccolgono i frutti di quello che si è seminato!!!!!