Staffetta Quotidiana – Le frodi Iva sui carburanti coinvolgono per lo più le pompe bianche; se eliminiamo le pompe bianche, il problema delle frodi è risolto. Sembra questo il ragionamento dietro le parole pronunciate mercoledì del direttore dell’Agenzia delle Dogane, Marcello Minenna, in audizione presso la commissione Finanze della Camera. Un ragionamento che ha una sua logica (aberrante) e che sembra affiorare periodicamente, in modo più o meno velato. Un ragionamento che merita qualche chiarimento, sui termini, sulle premesse e sulle conseguenze.
Una premessa è d’obbligo: una generalizzazione di questo tipo è la beffa che si aggiunge al danno per quegli operatori di reti indipendenti che continuano a non cedere alle sirene del “mercato parallelo” e che sono da almeno cinque anni i più danneggiati dalle frodi. Per dirlo in una frase: è vero che le frodi hanno per lo più come terminale le pompe bianche, ma altrettanto vero è che le pompe bianche sono le più colpite dal fenomeno. E tra le reti a marchio indipendente ci sono imprese storiche, che hanno reso il settore della distribuzione più dinamico e innovativo (oltre che competitivo) e che nulla hanno a che fare con i pirati delle frodi Iva. Senza contare che le frodi Iva possono allignare in qualunque punto della filiera.
Detto questo, passiamo a ricostruire i termini della questione. E partiamo da Minenna. Mercoledì scorso il direttore delle Dogane ha detto testualmente: “al Senato sulle volture dei depositi fiscali segnalai l’urgenza e l’importanza di una norma al fine di contrastare il carburante di frodo, ricevendo anche la condivisione di tutti i membri della commissione. La norma ancora non c’è, eppure è alla base del contrasto alle pompe bianche e ai carburanti di frodo”. Frodi = pompe bianche, come molti operatori l’hanno interpretata. Una ricostruzione singolare, tanto più se consideriamo che la proposta di Minenna (la stretta sulle volture) gode, a quanto ne sappiamo, del sostegno di Assopetroli, l’associazione che rappresenta anche le pompe bianche.
Nel merito, la norma proposta dalle Dogane andrebbe e “rinchiudere” gli “schiavi liberati” , cioè i depositi che hanno proliferato dopo la regionalizzazione e la liberalizzazione del 2004: tra il 2004 e il 2017 le autorizzazioni si sono impennate, in particolare per i depositi tra 100 e 20mila metri cubi, raddoppiati a circa 2.400.
Eppure, sette anni dopo la “regionalizzazione”, quando nel 2011 l’Antitrust avvia la sua indagine sulle pompe bianche, gli “indipendenti” sono ancora poco più di duemila. L’Autorità chiese in quell’occasione una maggiore apertura nella logistica primaria per “esportare il modello Nordest”. Le compagnie si impegnarono a mettere a disposizione di terzi capacità di stoccaggio nei rispettivi depositi – una possibilità che, a quanto ci risulta, non è stata praticamente mai sfruttata. Anche perché, appunto, sorpassata dalla proliferazione dei depositi fiscali e soprattutto dei destinatari registrati.
Fino al 2012, però, questo sistema “liberalizzato” e regionalizzato non trova ancora uno sbocco. All’inizio del 2012 arriva la liberalizzazione del governo Monti che intacca il binomio “comodato-fornitura esclusiva”, dando la possibilità al proprietario-gestore del punto vendita di approvvigionarsi per il 50% fuori dal contratto di fornitura con la compagnia. Da qui il boom delle pompe bianche negli ultimi anni, arrivate ormai, stando ai dati dell’Osservaprezzi, quasi a settemila punti vendita, un terzo della rete italiana.
È la “polverizzazione”, come l’aveva battezzata cinque anni fa il presidente dell’allora Unione Petrolifera (ora Unem) Claudio Spinaci. Il punto da capire – e, in caso, da dire apertamente – è: il sistema così com’è, aperto e liberalizzato, è ingestibile in sé? non è possibile, cioè, con norme e controlli, impedire le frodi conservando al tempo stesso i benefici di un sistema così articolato? Certo, il dubbio viene, considerando l’insuccesso clamoroso di quattro pesanti interventi legislativi negli ultimi cinque anni. Se dopo tutto questo impegno e dopo decine di indagini delle procure e blitz della Guardia di finanza, la situazione nella sostanza non è cambiata, le cose sono due: o le regole sono state scritte male, oppure non funzionano perché un sistema così polverizzato è per sua natura refrattario al controllo (oltre al fatto che i criminali si adattano con velocità). L’altra ipotesi però, la più inquietante, è che ci siano connivenze a livelli più alti. Forse è a questo “secondo livello” che bisogna pensare, considerando i tanti processi arenati o mai nati? Forse a questa ipotesi allude Minenna quando parla di “manine” che inseriscono, tolgono e cambiano norme?
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Ringraziamo Bersani e le sue liberalizzazioni in primis, che ha consentito ai retisti e compagnie di aprire altri impianti , lasciando aperti una buona parte di impianti incompatibili, ma soprattutto ringraziamo le Compagnie Petrolifere che fanno cartello da sempre e inoltre a fare cartello ci hanno ridotto con margini da fame per mantenere i loro carrozzoni, in dieci anni siamo andati in declino nel settore grazie a mamma Eni che inizio’ con lo scontone svegliando le pompe bianche le quali erano poche e poco concorrenziali ma il mostro Eni a svegliato il can che dormiva nelle pompe bianche le quali si sono adeguate ,tranne le compagnie che grazie all’aumento del costo della vita il margine del gestore è stato ridotto con giochi di prestigio sindacalpetroliferi ,da 5 cents a 3 cents, quando oggi per gestire un punto vendita visti i costi e tutti gli adempimenti varii per i quali devi assumere un ragioniere , il margine deve essere quantomeno di 10 cents litro, ma questa è una mia utopia, questi super burocrati dal sedere parato da stipendi fissi cosa cercano di chiudere le pompe bianche ,ormai è tardi le compagnie dovevano tenersi il gestore con margini concreti e non utilizzarlo come banca ,quello che accade oggi, inoltre quanto hanno guadagnato le compagnie quando era tutto servito prima dell’avvento delle isole self .Infine sono arrivati gli squali che hanno comprato le compagnie petrolifere, per questo il lavoro del gestore è finito.e siamo schiavi del caporalato petrolifero.
perchè secondo tè il negozietto di alimentari vicino a casa tua … puo’ competere con despar o qualunque gdo con i loro carrozzoni … e magari va a comprare il prosciutto da loro per poi rivenderlo a prezzo piu’ basso… pensaci bene prima di scrivere ..
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Ringraziamo Bersani e le sue liberalizzazioni in primis, che ha consentito ai retisti e compagnie di aprire altri impianti , lasciando aperti una buona parte di impianti incompatibili, ma soprattutto ringraziamo le Compagnie Petrolifere che fanno cartello da sempre e inoltre a fare cartello ci hanno ridotto con margini da fame per mantenere i loro carrozzoni, in dieci anni siamo andati in declino nel settore grazie a mamma Eni che inizio’ con lo scontone svegliando le pompe bianche le quali erano poche e poco concorrenziali ma il mostro Eni a svegliato il can che dormiva nelle pompe bianche le quali si sono adeguate ,tranne le compagnie che grazie all’aumento del costo della vita il margine del gestore è stato ridotto con giochi di prestigio sindacalpetroliferi ,da 5 cents a 3 cents, quando oggi per gestire un punto vendita visti i costi e tutti gli adempimenti varii per i quali devi assumere un ragioniere , il margine deve essere quantomeno di 10 cents litro, ma questa è una mia utopia, questi super burocrati dal sedere parato da stipendi fissi cosa cercano di chiudere le pompe bianche ,ormai è tardi le compagnie dovevano tenersi il gestore con margini concreti e non utilizzarlo come banca ,quello che accade oggi, inoltre quanto hanno guadagnato le compagnie quando era tutto servito prima dell’avvento delle isole self .Infine sono arrivati gli squali che hanno comprato le compagnie petrolifere, per questo il lavoro del gestore è finito.e siamo schiavi del caporalato petrolifero.