
Se le pompe fossero rimaste chiuse, sarebbero andati persi circa 255.000 euro: così l’Eni ha scelto di non fermarsi durante i lavori. È questa la dura accusa emersa dalle indagini della Procura di Prato per la tragedia del deposito Eni di Calenzano, in cui persero la vita cinque operai e due rimasero gravemente feriti.
Secondo quanto ricostruito dal Procuratore Luca Tescaroli, le operazioni di manutenzione non dovevano assolutamente svolgersi in contemporanea con le attività di carico delle autocisterne. Tuttavia, nonostante i rischi fossero noti e preventivabili, l’azienda avrebbe preferito mantenere attive le pompe di carico proprio per evitare di perdere circa 255.000 euro di guadagni tra le ore 09 e le ore 15, fascia in cui avrebbe invece dovuto sospendere tali attività per prudenza.
l vantaggio – sempre secondo la tesi degli inquirenti – sarebbe ravvisabile nella “contemporaneità dell’attività lavorativa di manutenzione e di carico di autobotti nella stessa area sotto le pensiline, senza interrompere i carichi delle autobotti, agevolando così – sostiene il magistrato – il mantenimento della produttività funzionale all’attuazione delle strategie imprenditoriali dettate dalla stessa casa madre Eni ed escludendo la necessità di dilatare i tempi di attesa degli autisti mentre avvengono manutenzioni lungo le pensiline di carico”.
Una modalità che, sottolinea la procura, “è risultata indistintamente comune a tutti i depositi, non avendo rilevato specifiche ulteriori sulla documentazione di Eni, sicché l’interesse e il vantaggio sono ancor più ampliati su scala nazionale”. La società ha fatto sapere di prendere atto e conferma “la propria piena e totale collaborazione all’autorità giudiziaria, con la volontà prioritaria di contribuire a individuare le cause e le dinamiche” dell’incidente.
Gli indagati per la tragedia sono nove: sette dirigenti di Eni e due della società appaltatrice Sergen. Le accuse contestate vanno dall’omicidio colposo plurimo al disastro colposo e lesioni personali. Gli investigatori hanno inoltre definito l’accaduto come un “evento prevedibile ed evitabile”, individuando come causa scatenante una fonte di calore generata dal motore a scoppio di un elevatore utilizzato da Sergen in un’area classificata ad alto rischio.
Una tragedia che, secondo l’inchiesta, si sarebbe potuta evitare rispettando le più elementari norme di sicurezza e fermando temporaneamente le operazioni di carico.
IL post fa riferimento all’incidente nel deposito ENI di fine anno, che mi ha fatto fare questa riflessione da gestore: ed è questo che mi fa pensare e dire ma come è possibile una roba del genere di un totale menefreghismo e irresponsabilità di questa compagnia che tutti i giorni girano fior di miliardi, e che per € 250.000 questi hanno combinato un disastro del genere causando la morte di tutte quelle persone, ed è evidente che per questi il valore della vita e pari a zero conta solo il loro business….e aggiungo che a noi persone che hanno passato una vita sul piazzale quando arrivava la cisterna a scaricare dovevi rispettare alcune regole per non incappare in incidenti di questo tipo, e che giustamente io e i miei colleghi, credo… che abbiamo sempre messo in pratica in primis per la nostra sicurezza e quella altrui!!! “se questo è il prezzo progresso”???