Distributori abbandonati, bonifiche dimenticate: gli impianti carburanti fonte di degrado urbano e silenzi istituzionali

Nel pieno della transizione energetica e della retorica sulla sostenibilità, in diverse città c’è una  realtà, scomoda e dimenticata: quella degli impianti dismessi o abbandonati, lasciati in stato di totale degrado, spesso per anni. L’ultimo caso saltato agli onori della cronaca è quello di Torino è solo l’ultimo di una lunga serie, ma emblematico per comprendere quanto la gestione post-operativa dei punti vendita carburanti sia diventata una questione tanto tecnica quanto sociale, ambientale e – troppo spesso – politica.

Il distributore IP di Corso Umbria angolo via Caserta, chiuso da almeno quattro anni, è ormai diventato rifugio di fortuna e teatro di attività illecite. Una situazione di insicurezza e abbandono denunciata da tempo dai residenti e dalle istituzioni locali, che oggi chiedono l’immediata revoca della concessione e lo smantellamento dell’impianto.

Ma a rendere ancora più evidente la portata del problema è il caso di Piazza Montanari, dove un’intera comunità si è mobilitata con una petizione da oltre 600 firme per chiedere non solo la bonifica, ma la totale riqualificazione dell’area occupata da un vecchio distributore chiuso da tre anni. Un impianto ormai percepito come simbolo del degrado urbano, un vuoto lasciato in una zona densamente frequentata da famiglie, studenti e cittadini.

Questi esempi mettono in luce due aspetti gravissimi: da un lato l’inadeguatezza del sistema delle bonifiche ambientali, che spesso si arena tra competenze sovrapposte, tempi indefiniti e mancati controlli; dall’altro, l’assenza di un piano di responsabilità condivisa tra aziende petrolifere, enti pubblici e concessionari. Daltronde, la famosa riforma della rete che avrebbe dovuto occuparsi anche di questo problema è ancora arenata nonostante le varie promesse e slide di presentazione. 

Per i gestori, queste situazioni sono un ulteriore schiaffo: c’è chi ha lasciato l’impianto perché spinto fuori da condizioni contrattuali e di mercato insostenibili o da chiusure imposte per trasformazioni non concertate. E si ritrova oggi con il proprio ex punto vendita trasformato in una discarica, in un dormitorio di fortuna o in un problema di ordine pubblico. 

In questo clima, è urgente che la politica si occupi con forza, affinché vengano ridefinite:

le procedure di bonifica e smantellamento con tempi certi;

le responsabilità ambientali in capo al titolare dell’autorizzazione (che, ricordiamolo, non è il gestore in comodato);

le garanzie per il gestore uscente, affinché non resti l’unico anello debole della catena. 

La riqualificazione urbana non può passare per l’abbandono di spazi vitali. E la transizione ecologica non può essere una scusa per lasciare impianti in disuso a marcire nelle piazze, senza piani, senza bonifiche, senza rispetto per chi li ha gestiti per decenni con serietà.

Anche se purtroppo spesso la fine di un impianto è la fine della dignitàlavorativa del suo gestore.

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