Staffetta Quotidiana – Gli ultimi anni sono stati un susseguirsi di “notizie non buone”, in molti casi vere e proprie “brutte notizie”, per la rete carburanti italiana, dall’uscita della Shell, venduta alla Kupit, all’uscita di TotalErg, venduta all’Api, allo spacchettamento della rete Esso, divisa oggi tra sette operatori (EG Italia, Petrolifera Adriatica, Amegas, Basile Petroli, Retitalia, Som, Enerpetroli) che ancora ne innalzano il marchio, al moltiplicarsi di una miriade di marchi nuovi e/o sconosciuti, favoriti spesso da altri spacchettamenti, silenziosi e anonimi, delle reti rimaste. Senza dimenticare, peggio ancora, il dilagare dell’illegalità, favorita a sua volta dalla mancanza di controlli adeguati e dall’ingresso sul mercato di “cani sciolti”, insofferenti di qualsiasi regola e prestanome spesso della “malavita organizzata”, maestra nel ricorso alle pratiche illegali e immuni, grazie anche all’aiuto di professionisti compiacenti e ad una giustizia quanto mai lenta, da qualsiasi sanzione.
Risultato: come denunciato dal presidente dell’Unione Petrolifera nell’audizione del 16 ottobre scorso alla commissione Attività Produttive della Camera sulla risoluzione De Toma e ribadito in occasione della presentazione del preconsuntivo 2019 , una rete sempre più inefficiente e ridondante di almeno 6.000 punti vendita, con oltre 200 marchi presenti ad ogni angolo di strada ed oltre 5.000 operatori che hanno meno di 30 punti vendita a testa. Con margini, per la parte sana della rete, sempre più ridotti all’osso.
Una rete che, però, conta ancora 21.700 punti vendita (dato UP 2019) che, nonostante tutto ciò che siamo venuti raccontando, fa ancora capo per circa il 60% (tra impianti propri e convenzionati) a quattro grandi compagnie: in ordine alfabetico, ma anche in ordine di peso, Api/IP, Eni, Kupit e Tamoil, presenti su tutto il territorio nazionale sia sulle strade che sulle autostrade con circa 13.200 impianti, di cui oltre il 65% di proprietà. In testa la IP con circa 5.000 impianti di cui, all’atto dell’incorporazione di TotalErg, 2.850 (oltre il 55%) erano di proprietà, seguita da Eni con 4.200 impianti di cui 3.000 di proprietà, Kupit con 2.800 impianti di cui circa 2.000 di proprietà e Tamoil con 1.249 impianti (a fine 2018) di cui più dell’80% (circa 1.000) di proprietà.
Che è ancora un bel serbatoio di punti vendita. Una parola che non usiamo a caso, perché è da questo serbatoio che negli anni scorsi sono fuoriusciti i punti vendita che hanno alimentato la proliferazione di nuove piccole reti e altresì, anche se è amaro dirlo, il dilagare dell’illegalità. Prova ne sia che, nello scorrere degli anni, il numero totale degli impianti è rimasto grosso modo inalterato: erano 22.500 nel 2007, avevano raggiunto una punta di 23.600 nel 2011 ed erano scesi già nel 2018 a 21.700, sempre oltre alla soglia dei 20.000. Nonostante negli ultimi 10 anni i consumi petroliferi siano calati nel complesso del 18% e nel caso della benzina addirittura del 24%. Una funzione che, al netto della scomparsa degli impianti inefficienti e sfacciatamente fuori norma, questo serbatoio potrebbe continuare a svolgere anche in futuro in relazione alla capacità di resistenza, attuale e in prospettiva, di queste quattro compagnie alle avverse “condizioni atmosferiche” (chiamiamole così) del mercato petrolifero italiano. E anche alla tentazione (sempre dietro l’angolo) di seguire l’esempio di chi in questi anni ha venduto e spacchettato.
Quanto potrà durare una situazione del genere? E’ la domanda drammatica che si sono posti in molti in questi mesi a cominciare dalle tre organizzazioni storiche dei gestori, la categoria più esposta e più debole tra gli operatori attivi sulla rete. Con la Staffetta che non più tardi del 29 novembre, facendo ancora una volta il punto, ha invitato i “Petrolieri d’Italia” a unirsi per riflettere insieme sul futuro del settore: un appello che, ci risulta, non è caduto nel vuoto e che, anzi, ha intercettato dinamiche già in corso. Una domanda rivolta soprattutto a chi ha le chiavi per cercare di far uscire la barca da queste secche o al contrario per mandarla completamente a fondo.
E una prima risposta, per fortuna positiva, è arrivata dai responsabili marketing dell’Eni, in occasione dell’incontro, convocato il 16 dicembre con i vertici proprio delle tre organizzazioni dei gestori, per avviare le trattative per il rinnovo degli accordi collettivi aziendali. Di cui la Staffetta ha dato notizia in anteprima mercoledì scorso mettendone subito in risalto il grande rilievo politico (v. Staffetta 08/01). Parliamo della compagnia partecipata dallo Stato che di queste chiavi in mano ne ha ancora molte dato che a tutti gli effetti può ancora essere considerata l’azienda leader del mercato, ruolo che ricopre da non meno di 50 anni. E una seconda risposta potrebbe arrivare martedì prossimo dalla IP, la compagnia che ha in mano e, quindi, in ballo il maggior numero di impianti sia di proprietà che convenzionati, prendendo spunto dall’evento organizzato a Roma per presentare un nuovo prodotto della catena dei carburanti premium. Due compagnie alle cui mosse gli osservatori guardano con grande attenzione ritenendo, non a torto, che per il loro peso siano ormai costrette, come in una partita a scacchi, a condizionarsi a vicenda.
Vera o falsa che sia questa immagine, di certo le linee direttrici dell’Eni o, meglio, la strategia che intende adottare per i prossimi anni, illustrate a Faib, Fegica e Figisc, vanno a tutti gli effetti controcorrente rispetto a ipotesi di disimpegno, di ridimensionamento o, peggio, di temuti ulteriori spacchettamenti. Nella misura in cui prevedono, citiamo testualmente, un rinnovato e strutturale impegno sulla rete in termini di investimenti commerciali e infrastrutturali, di rivalutazione della rete di proprietà, di qualità dei prodotti e del servizio al consumatore, di diversificazione della tipologia dei servizi e delle attività accessorie offerte al pubblico, di incremento delle occasioni di business e di conseguente rivalutazione della remunerazione per i gestori, di formazione ed aggiornamento professionale, di rinnovo del sistema di regolazione dei rapporti con le loro organizzazioni di categoria, orientate ad una sempre maggiore stabilità ed efficienza. Il tutto nero su bianco in un “verbale” che la Staffetta ha avuto l’opportunità di leggere. Nessuna parola al vento.
Parola che ora passa alla IP e che tutti si augurano sia altrettanto impegnativa, in grado di fare da spartiacque, anche con Kupit e Tamoil e più in generale con tutta la parte sana del “Petrolio Italia”, rispetto ad una stagione da lasciare definitivamente alle spalle.
Per gentile concessione di Staffetta Quotidiana
sempre parole ma per i gestori non vi è nulla di economico,solo maggiore impegno e lavoro sottopagato..